lunedì 13 giugno 2016
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​Non è possibile non rilevare di questi tempi al borsino della cultura il divario enorme tra il valore della sostenibilità ambientale e della dignità del lavoro. Tale divario sottende un fatto assolutamente positivo (la crescita della sensibilità verso il problema ambientale) ed uno assolutamente negativo (il tema della dignità del lavoro tenuto ai margini). Poiché la cultura dominante influenza le scelte politiche ed economiche le conseguenze di questo strabismo sono molto concrete e hanno prodotto un aumento impressionante delle diseguaglianze e un progressivo scivolamento verso il basso della qualità della vita dei ceti medio-bassi (lavoro più difficile e precario, accesso alla sanità più difficile in un momento storico in cui la qualità delle cure incide in maniera fortissima sull’aspettativa di vita). Con effetti sul bene comune e sulla soddisfazione di vita drammatici visto che è la dimensione del lavoro sulla quale si gioca la dignità e la realizzazione della nostra vita. Effetti che pertanto alimentano in tutti i Paesi occidentali quei populismi e quegli esiti elettorali di cui facciamo finta di sorprenderci.Uno dei motivi fondamentali che spiegano questa contraddizione sta nel fatto che esiste una percezione molto chiara, indotta dalla cultura dominante, degli effetti dell’insostenibilità ambientale sulle nostre vite ed una molto più vaga degli effetti dell’insostenibilità sociale. La questione ambientale è stata resa molto nitida. Il riscaldamento globale produce l’innalzamento del livello dei mari e minaccia la sopravvivenza del pianeta. L’inquinamento delle nostre città mette a rischio la nostra salute. In realtà, però, la connessione tra insostenibilità sociale e concreti rischi per ciascuno di noi sarebbero altrettanto (e persino più) evidenti. In un’economia globale dove viviamo la concorrenza delle macchine e del lavoro a bassissimo costo degli ultimi della terra, un sistema economico dove la dignità del lavoro è in fondo alla scala dei valori tutelati (vengono prima la ricchezza degli azionisti e il surplus/benessere dei consumatori) diventa meccanismo moltiplicatore di diseguaglianze. Le diseguaglianze insomma sono proprio come l’inquinamento e l’innalzamento dei mari. Hanno conseguenze dirette su ciascuno di noi perché producono conflitti sociali, flussi migratori incontrollati e incontrollabili e aumentano la difficoltà di trovare un lavoro decente producendo concorrenza verso il basso sul costo del lavoro. Eppure i messaggi politico-culturali vanno proprio in direzione opposta. Ed esaltano tutti i progressi in direzione della precarizzazione del lavoro come se l’obiettivo fosse il livellamento verso il basso. O ci raccontano storie come quella di Uber come se fossero magnifici avanzamenti, esaltando i vari sottocosti e sottoprezzi che nascondono lavoro precario e sottopagato.Perché dunque questo strabismo? Una delle ragioni fondamentali è che mentre la precarizzazione del lavoro appare come la ritirata strategica necessaria per competere con l’esercito di riserva dei sottopagati e dare dignità al lavoro produce (apparentemente) molto minori benefici economici alle imprese, l’ambiente è ormai diventato un’importante occasione di business e di diversificazione di prodotti e processi. Al tema ambientale è infatti legata l’opportunità della riduzione dei costi attraverso il risparmio di energia e la nascita di nuovi modi di produrre come l’«economia circolare», lo smaltimento dei rifiuti, la diffusione di nuove forme di produzione di energia. Siamo arrivati a un punto di svolta oltre il quale la sostenibilità ambientale sta ormai diventando win-win, comunque vincente, grazie all’azione combinata dei fondi d’investimento etici, la green finance, la regolamentazione locale e nazionale più severa e la nascita di molte forme di innovazione produttiva sui temi della sostenibilità.Come fare per rendere anche la sostenibilità sociale e il contrasto alle diseguaglianze vincente? Bastano iniziative "difensive" anche se di ampio respiro come il Migration Compact, con cui i governi europei provano a frenare i flussi migratori con progetti che stimolino la crescita delle economie più povere da cui provengono i migranti? Vincere questa sfida culturale è difficile, ma le direzioni su cui lavorare sono chiare. Primo, identificare le migliori pratiche e gli esempi vincenti di aziende che hanno fatto la quadra tra competitività e creazione di valore e dignità del lavoro e che rappresentano esempi eccellenti nei diversi domini del lavoro agile, della partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa, nell’investimento nelle proprie risorse umane che serve a creare forza lavoro stabile e qualificata.Secondo, "votare col portafoglio" nei consumi e nei risparmi per premiare le aziende leader della dignità del lavoro. Negli ultimi anni, anzi mesi, la forza del "voto col portafoglio" è cresciuta enormemente sul fronte finanziario, come raccontato ieri su queste pagine nell’inchiesta dedicata all’azionariato attivo. Se i fondi d’investimento etici si applicassero con la stessa lena al tema del lavoro potrebbero immediatamente costruire analogamente alla «coalizione per la misura dell’impronta di carbonio» (a cui oggi partecipano patrimoni pari a 10 trilioni di dollari) una «coalizione per la misura della dignità del lavoro» nell’impresa.Terzo, le istituzioni nazionali ed europee devono alzare la testa e usare la politica fiscale e commerciale per premiare le filiere ad alta dignità di lavoro sanzionando quelle che non lo sono. Un’inversione di rotta salutare pare essere da questo punto il voto del Parlamento europeo contrario all’attribuzione alla Cina dello status di economia di mercato. Che sarà attribuito solo quando in quel Paese le regole sulla dignità del lavoro saranno equivalenti alle nostre. Qualcuno fa ancora finta di non accorgersene ma è su questo fronte che si giocano la qualità del futuro delle nostre società, i destini politici futuri dei governi in carica e delle stesse istituzioni europee.
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