martedì 22 aprile 2014
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Non ci sto. Non mi piace. Non mi rassegno. A Napoli ancora si spara, ancora si uccide. Ancora si muore a soli 20 anni. Quando la vita scoppia, quando la strada è tutta da percorrere, quando anche il freddo inverno ha il sapore della primavera. Si muore alla vigilia di Pasqua, a poche ore dall’evento che ha sconvolto e rimesso in piedi gli uomini. Nel giorno in cui Dio tace, a Napoli tuonano le armi. Nelle ore in cui la Chiesa, orante e attonita, attende che il Crocifisso torni in vita, a Napoli si uccide. Senza pietà. Pasqua è arrivata. La morte finalmente è vinta. Ha perduto la sua carica esplosiva, ha smesso di mettere paura. È stata resa innocua. Per sempre la morte è morta. Pasqua ci ha stordito. Dopo i giorni del dolore e delle infamie; dei tradimenti e del tormento i nostri occhi hanno contemplato il Signore nella gloria. Il fascino della Pasqua ci ha fatto traboccare di gioia, di speranza, di stupore. Di forze nuove che non sapevamo di possedere.Abbiamo gettato via il superfluo che ci intralciava il passo. Ci siamo liberati del fardello del peccato e dell’ignavia. Abbiamo trovato il coraggio di volare. È difficile dire l’indicibile, ma ci proviamo. È difficile rendere a parole ciò che ti fa vibrare il cuore, ma dobbiamo farlo. Lui, il Signore, ha voluto così. Avrebbe potuto incaricare gli angeli. Avrebbe potuto squarciare i cieli e farsi vedere nella gloria. Solo alla notte ha permesso di essere testimone muta di un fatto senza precedenti nella storia. Eppure la luce della risurrezione brilla più di centomila soli a mezzogiorno. Dopo i giorni di passione, i nostri giovani cantano l’"alleluia" e il "gloria". Sono felici, me ne accorgo; si vede da lontano. Ritornano a sperare. Se Cristo non fosse risorto, vana sarebbe la nostra fede. Avremmo fatto professione solo di una religione tra le tante. Non ci interessa. A noi interessa che con il Vivente possiamo entrare in dialogo, possiamo diventargli amici. Possiamo chiamarlo, invocarlo, amarlo, servirlo. E sapere che di noi Lui è follemente innamorato.Sentivo i giovani cantare e pensavo a lui, a Emanuele. A 20 anni anch’egli avrebbe dovuto essere in un coro, impegnato all’oratorio, in piscina, in palestra, in un campo di calcetto. O stare a rompersi la testa sui libri da studiare. E poi a Ciro, che di anni ne aveva 34. Loro, invece, sono stati trucidati in un circolo ricreativo alla vigilia della Veglia madre di tutte le veglie. A Secondigliano. In quella periferia di Napoli sempre più violenta. In quel quartiere che non trova pace, dove le povertà ammassate partoriscono mostriciattoli. In quel luogo dove la camorra ha ormai la faccia dei bambini. Giovanissimi camorristi ai quali è stato negato il diritto a scegliersi un futuro e che fanno tanto male a tutti. Per tanti di essi la scelta è obbligata: o la fame nera o cadere nel miraggio della ricchezza, del potere; lo scettro del comando ammalia e distrugge. La macchina bella, i soldi in tasca, l’illusione di essere qualcuno. Si fanno tra loro una lotta spietata per la supremazia. Saltano i gradini. Contraggono alleanze, promesse, accordi. Poi arriva la morte. Questa, sì, brutta come la peste, veloce come il lampo. Arriva, prepotente, accompagnata dall’odio, dall’inganno, dal tradimento. Arriva nascosta dietro il volto di un amico. E colpisce. Senza pietà. Spavalda. Beffarda. Cinica. Sapendo di terrorizzare. E falcia la vita di questi ragazzi che non furono mai bambini. Altri due giovani sono stati uccisi a Napoli. Un pugno nello stomaco. Un altro. Ricomincia la guerra tra i clan? In verità non è mai finita. Queste associazioni a delinquere si odiano. Si detestano. Gli "affari" le accecano. Sono sempre in guerra, anche quando non si vede.Fino a quando le strade della nostra città saranno insanguinate dal sangue di ragazzi con il viso ancora imberbe? Sono i nostri giovani, il futuro della nostra città. Fanno paura, è vero. Sono spietati, è vero. Ma noi non possiamo, non vogliamo, non dobbiamo rassegnarci a perderli. Non possiamo rimanere spettatori, pensando che in fondo la cosa non ci riguardi. Spetta invece proprio a noi, società civile, metterli in salvo prima che per loro scatti la tagliola e la violenza sanguinaria rinchiuda in ostaggio la città.
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