sabato 30 giugno 2012
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Dobbiamo farcela. E possiamo. Noi credenti, non è una novità, viviamo sempre sull’abisso della separazione delle acque: le acque della rigenerazione, che vengono da Dio, e le acque della degenerazione, che la nostra debolezza lascia immancabilmente filtrare e accumulare. Dobbiamo ritrovare il coraggio di camminare sulle acque di Dio, e uscire dallo stagno. Con grande lezione di stile, Benedetto XVI, illustra la serietà di questa dialettica, che si riforma sempre, a riguardo del papato stesso. Ricorda il celebre episodio di Gesù, che loda Pietro per la sua ferma confessione di fede, la quale non viene «dalla carne e dal sangue», e poi lo sgrida per aver ceduto alla debolezza «della carne e del sangue», nel momento in cui vuole allontanare la croce (Mt 16, 22-23). In questa scena, osserva Papa Benedetto, «vediamo in qualche modo anticipato il dramma della storia dello stesso papato, caratterizzato proprio dalla compresenza di questi due elementi: da una parte, grazie alla luce e alla forza che vengono dall’alto, il papato costituisce il fondamento della Chiesa pellegrina nel tempo; dall’altra, lungo i secoli emerge anche la debolezza degli uomini, che solo l’apertura all’azione di Dio può trasformare».La promessa, nondimeno, stabilisce la linea di confine per la minaccia, e indica la linea della coerenza richiesta. «Le porte degli inferi», cioè le forze del male, «non praevalebunt». C’è qualcuno che ancora non si sia convinto del fatto che la più grande debolezza della Chiesa, nei suoi frangenti più difficili, è sempre venuta dallo spirito mal dissimulato di una profonda discordia: quando tutti dicono «Signore, Signore», ma poi ciascuno edifica sul proprio fondamento, che non è il Signore? Nella riflessione pronunciata per la consegna del Pallio agli Arcivescovi Metropoliti, Benedetto XVI ha sviluppato un insolito ed elegante spunto di riflessione sul tema della «fraternità fondatrice». Pietro e Paolo, che «insieme, rappresentano tutto il Vangelo di Cristo», sono inseparabili nella tradizione cristiana. Forse, fu anche la risposta cristiana al vanto di Roma, che ricordava con orgoglio Romolo e Remo, la coppia di fratelli della sua mitica fondazione. Forse, ne viene ispirazione anche per la ricerca di quel più profondo legame nella fede dell’Oriente e dell’Occidente cristiano, «cui anelano – ha concluso il Papa – il Patriarca Ecumenico e il Vescovo di Roma». Nella semplice solennità, e persino nell’audacia, di questi accostamenti, vibrano i toni alti di un ritorno della Chiesa al legame di tutti i legami, che Pietro intende restituire integralmente alla sua forza, per l’ora presente. Questo legame è quello della fraternità. Nella congiuntura attuale, dove tutti gli altri espedienti mostrano la loro irrimediabile friabilità, la fraternità cristiana è la cosa più rocciosa che abbiamo a disposizione. Deve sospendere radicalmente la sua inclinazione nei confronti delle sue versioni sentimentali, burocratiche, corporative. Deve ridiventare fraternità fondatrice. Non abbiamo legame più forte di questo, per venire a capo del primato dell’edificazione di sé, che intorbida le pure acque della sorgente di ogni potere nella Chiesa e per la Chiesa. Non abbiamo custodia più solida, per la fraternità fondatrice del cristianesimo, del ministero di Pietro che continua. Sta scritto, del resto: «E tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli» (Lc 22, 32). Va fatto. Le scuse per sottrarsi alla fraternità donata dal Signore, qualunque cosa sia accaduto e qualsiasi incombenza sia affidata, stanno a zero. I capi e i fedeli del cristianesimo di Occidente e di Oriente, incoraggiati da colui che «presiede la carità della Chiesa», diano l’esempio per primi. Essi stanno sulla faglia del mondo nella quale si decide, ora, anche il nuovo assetto dell’umanesimo a venire. Le pratiche dell’avvilimento della comunione, all’interno delle singole comunità, vanno espiate con serietà e purificate con gioia. La fraternità fondatrice di un nuovo inizio cristiano, passa proprio di qui. Fra Pietro e Paolo.
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