martedì 23 aprile 2013
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Contrordine, fratelli della rivoluzione islamica! «Niente più contraccettivi né misure di pianificazione familiare, dovete tornare a fare più figli». È il netto cambio di strategia deciso dal governo iraniano, che ha scelto di mobilitare 150mila medici per contattare le famiglie e "motivarle" ad avere più bambini. E in fretta, pure: cercando di «ridurre al di sotto dei due anni il periodo fra una gravidanza e l’altra». L’obiettivo infatti è esplicito e certamente ambizioso: arrivare in pochi decenni a raddoppiare la popolazione del Paese da 75 a 150 milioni di persone.Il cambio di strategia è stato impresso su impulso della Guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, che aveva chiesto di abolire le politiche di pianificazione familiare adottate dopo la forte crescita delle nascite seguita alla rivoluzione islamica del 1979. «Ma la scelta del figlio unico ha provocato molti problemi – ha spiegato Mohammad Ismail Motlagh, dirigente del ministero della Famiglia di Teheran –. E ora le coppie devono rivedere i loro metodi e cambiare i loro piani». Una scelta – questa dell’Iran, come quella speculare della Cina con l’imposizione (ora in discussione) del figlio unico o gli interventi di pianificazione familiare da parte di enti internazionali, anche legati all’Onu – che conferma come la leva demografica sia tuttora utilizzata dai poteri statali e sovranazionali anzitutto per conseguire obiettivi politici, prima che per favorire cambiamenti sociali a beneficio delle popolazioni. Dietro espressioni come "salute riproduttiva", utilizzate da organismi internazionali, si nasconde spesso in realtà non la giusta esigenza di tutelare la salute delle donne o di evitare il ricorso all’aborto, ma appunto la scelta politica-economica di imporre una pre-determinata (de)crescita demografica, non di rado legando ad essa obiettivi e interventi di sviluppo. Nei singoli Stati, poi, a seconda delle esigenze di bilancio, di pianificazione economica o, per altro verso, di strategie militari o espansionistiche, i governi non si fanno scrupolo di intervenire pesantemente nella sfera più intima di ogni coppia: ora imponendo di non procreare, anche a costo di spingere le donne ad abortire, ora invece facendo pressione perché si "diano figli alla Patria". È un tratto tipico delle dittature, del Novecento come di quelle contemporanee. In maniera meno esplicita, però, la tentazione percorre anche le nostre democrazie, nelle quali ad agire sono da un lato la presenza o l’assenza di politiche di sostegno alle famiglie, dall’altro i modelli culturali che finiscono per condizionare (e non poco) la scelta di avere figli. Fino alle nuove "frontiere" dischiuse oggi da quelle tecniche e quelle leggi che permettono e "legalizzano" una procreazione slegata dall’unione di una coppia donna-uomo.Al fondo, nelle imposizioni dirette delle dittature come nelle indirette pressioni delle democrazie, sta non solo un’insopportabile violazione della libertà dei coniugi, ma soprattutto uno stravolgimento dell’umano nella sua essenza: la procreazione che nasce da un progetto di vita, infatti, non può mai essere ridotta a mera riproduzione, da accrescere o diminuire secondo convenienze economiche o politiche, come fosse una produzione industriale.
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