mercoledì 10 dicembre 2014
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«Avete mai torturato un prigioniero?». «Sì». «La tortura ha portato a risultati concreti?». «No». È uno stralcio – eloquente nella sua icasticità – del rapporto che la Commissione di controllo sui Servizi Segreti del Senato americano ha reso pubblico ieri togliendo il velo sull’attività forzatamente opaca delle agenzie d’informazione e controspionaggio statunitensi. Sei milioni di documenti tra intercettazioni, promemoria e altre registrazioni, seimila pagine di rapporto (di cui almeno 200 tuttora secretate), un’inchiesta durata cinque anni che copre un arco di tempo che va dal 2001 – l’anno dell’attentato alle Twin Towers – al 2008. E un risultato esplosivo e inquietante nella sua spietata precisione: l’uso sistematico della tortura, principalmente il famigerato waterboarding (una tecnica che porta vicinissima all’annegamento), ma anche altre "tecniche non convenzionali" nei confronti di elementi sospettati di terrorismo o di legami con al-Qaeda hanno dato scarsissimi risultati pratici, oltre ad aver accumulato una mole impressionante di errori (una persona su cinque è stata detenuta «per un errore di identità o sulla base di informazioni errate») ed essersi rivelato inefficace – a dispetto di quanto racconta il fortunato film "Zero Dark Thirty" – perfino nell’individuazione del nascondiglio di Osama Benladen.Ma che la Cia e i contractors che le agenzie americane utilizzano sul campo nelle difficili situazioni afghane, pakistane, irachene avessero mano libera e manica un po’ troppo larga nel consentire attività e tecniche (ci ricordiamo di Abu Graib?) in palese violazione dei diritti umani era immaginabile, come non stupisce il fatto che la Cia stessa fornisse o tentasse di fornire false e fuorvianti informazioni al Dipartimento di Giustizia per minimizzare la portata di certe operazioni. Il rapporto del Senato tuttavia evidenzia anche le pesanti responsabilità dell’amministrazione Bush, del vicepresidente Cheney. Ma soprattutto dei direttori della Cia Tenet, Goss e Hayden, perché è più che certo che non tutto è stato correttamente riferito alla Casa Bianca.Tuttavia, nessuno "pagherà" in senso classico per queste violazioni. Lo scandalo è interamente e pesantemente politico, ma non vi saranno conseguenze penali per alcun funzionario o dirigente della Cia. E proprio perché la politica, anche e soprattutto in America, è una guerra continua fatta anche di colpi bassi, non sfugge il fatto che la presidente della Commissione sia la democratica Dianne Feinstein, e che il rapporto esca a tre settimane dall’insediamento del nuovo Senato a guida repubblicana; un rapporto che forse, con la nuova maggioranza, non avrebbe mai visto la luce.E che gli stessi democratici, a cominciare dal segretario di Stato John Kerry, hanno guardato con seria preoccupazione, nel comprensibile timore che la sua pubblicazione possa provocare nuove violenze in Medio Oriente e aumentare il numero di ostaggi americani. Sul piano morale, può sembrare superfluo spendere parole: la privazione del sonno, la detenzione in condizioni ipotizzabili solo nelle più tristi galere dei peggiori regimi dittatoriali, la spoliazione della dignità personale e, su tutto, l’arrogante arbitrio di chi si appropria della libertà di un semplice sospettato, non abbisognano di alcun commento oltre a quello con cui Obama, nel 2009, accompagnò severe (se pure non tutte attuate) limitazioni alle possibilità d’azione dell’Agenzia: «I duri metodi utilizzati dalla Cia sono contrari e incompatibili con i valori del nostro Paese e hanno danneggiato significativamente l’immagine dell’America e la sua posizione nel mondo, rendendo più difficile perseguire i nostri interessi con alleati e partner». «Sono stati fatti errori, ma si sono evitati attacchi contro gli Usa», dice l’attuale direttore della Cia John Brennan. Su questo occorre meditare. Domandandoci se il prezzo della sicurezza nazionale possa essere la violazione dei diritti umani. Forse, in casi eccezionali, verrebbe da dire. Ma il feroce cumulo di inutili errori commessi in tutti quegli anni obbliga tutti a concludere che la strada del waterboarding è quella della sconfitta più dura.
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