martedì 1 luglio 2014
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Sul finire del secolo scorso, un noto intellettuale cristiano, Pietro Prini, aveva dato alle stampe uno dei suoi testi più significativi. Il titolo, "Lo scisma sommerso", era provocante. Non meno pungente era la tesi sostenuta nel libro: mentre all’inizio del cristianesimo si sarebbero verificati scismi ecclesiali vissuti – per così dire – alla luce del sole, sul finire del II millennio sarebbe stato in atto uno scisma analogo, la cui caratteristica era di essere, però, sommerso. Esso si sarebbe consumato attorno a temi riguardanti la morale familiare e sessuale, rispetto ai quali molti cristiani avevano ormai preso le distanze dalle posizioni della cosiddetta «Chiesa ufficiale», senza che ciò trovasse eco ed espressione in una qualche forma pubblica.Se c’è un aspetto che colpisce assai positivamente a una prima lettura dell’Instrumentum laboris in vista della III Assemblea straordinaria del Sinodo dei vescovi è il fatto che la distanza tra Chiesa gerarchica e il resto del popolo di Dio sembra affrontata con chiarezza cercandone un concreto superamento. Il documento è, infatti, apprezzabile per la sincerità con cui mette in evidenza le sfide cui deve rispondere un annuncio del Vangelo della famiglia, che voglia essere incarnato. Non si tratta soltanto delle problematiche che il mondo mass-mediatico e la vulgata ecclesiale sono più inclini a rimarcare; come la questione dei divorziati risposati o le diverse situazioni cosiddette irregolari. Certo, si parla anche di questo, con libertà e schiettezza, in un modo che non può che fare del bene a molti cristiani e pastori principalmente implicati in tali situazioni. Ma lo spettro delle sfide che domandano un discernimento pastorale e, all’occasione, delle decisioni concrete da assumere è ben più vasto: esso spazia dalla crisi di fede in cui i cristiani si trovano a vivere il loro matrimonio alle difficoltà provocate dall’individualismo imperante; dalla invadenza dei social network, che tolgono immediatezza ai rapporti familiari, a un’economia che toglie spazi di festività condivisa o ingenera una precarietà disperante; dalla contro-testimonianza data da "uomini di Chiesa" alle lungaggini e alla burocrazia di certi tribunali ecclesiastici; dalla poligamia imperante in certi luoghi del pianeta alle politiche "liberalizzanti" di molti Paesi secolarizzati.Una tale capacità di "dare un nome" ai problemi – primo passo, per continuare a nutrire autentica speranza – è il frutto di una consultazione ampia e reale, che mostra insieme la cattolicità della Chiesa in atto e il fatto che le Conferenze Episcopali hanno svolto il prezioso servizio di essere voce delle diverse Chiese sparse nel mondo.Una consultazione che offre anche qualche suggestione su cui riflettere: come la proposta di parlare di un «ordine della creazione» invece che di una «legge naturale», difficilmente comprensibile ai più; o come la chiara opzione di non omologare le sfide inerenti le situazioni familiari e quelle concernenti le unioni tra persone dello stesso sesso. La sincerità delle problematiche "poste sul tappeto" va di pari passo alla loro complessità. In situazioni del genere si evidenzia, come non mai, quanto uno strumento come quello del Sinodo è il più adatto a offrire quel discernimento comunitario di cui tali questioni abbisognano per non essere trattate con superficialità.
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