sabato 21 luglio 2012
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C’è qualcuno che continua a credere alla favola che se faremo per bene i “compiti a casa”, i mercati saggi e razionali ci premieranno e lo spread scomparirà. O almeno fa finta di crederlo nelle di­chiarazioni ufficiali. Credere a questa favola è ciò che ci porterebbe nel burrone perché nessuna guerra “fi­nanziaria” potrà essere vinta se gli aggrediti non si accorgeranno di esserlo e se i loro alleati non li aiu­teranno. Il vero problema è un altro ed è su due fron­ti. Il primo fronte è quello della speculazione che ha creato un cuneo ingiustificabile sulla base dei fon­damentali proprio per far crollare l’euro (come nel ‘92 aveva lavorato per far crollare il sistema dei cam­bi fissi in Europa). La speculazione non è un giudice imparziale dei nostri progressi ma un avversario che intende sfruttare sino in fondo le nostre debolezze con un obiettivo ben preciso (come lo aveva il fi­nanziere Soros ai tempi dell’attacco a lira e sterlina). Con colpevole ritardo lo riconoscono ora pratica­mente tutti, a partire da Confindustria che in uno studio diffuso ieri con dovizia di dati illustra il costo dello spread eccessivo in termini di crescita e di au­mento del debito. Il secondo fronte è la mancanza di fiducia e solida­rietà tra i partner europei che sono caduti in pieno nella trappola, dividendosi in virtuosi e no, con i vir­tuosi che non hanno il coraggio di rinunciare a qual­cosa dei loro benefici a breve (le emissioni a tasso negativo) per salvare l’Europa. O che comunque ri­tengono che bisogna tirare la corda al massimo per rimettere i Paesi del sud d’Europa sulla strada della virtù, salvo intervenire tempestivamente – come han­no fatto nelle ultime ore i tedeschi con la Spagna – quando si accorgono che questi ultimi sono sull’or­lo di un collasso che travolgerebbe anche loro. E in questa inestricabile interdipendenza sta la nostra principale speranza. Inutile tornare sull’assurdità di quanto sta accaden­do rispetto ai fondamentali. I calcoli variano, ma ne­gli ultimi giorni Banca d’Italia, Confindustria e Fon­do Monetario si sono aggiunti alla schiera di coloro che da tempo avevano rilevato lo scarto tra spread fondamentale e spread effettivo. Più che prenderce­la con chi ci attacca però dovremmo lamentarci del­l’inettitudine dei nostri “compagni di circolo”. L’in­gresso nel club dell’euro ci ha portato enormi bene­fici, ma adesso, di fronte alla minaccia esterna, il club rischia di saltare perché alcuni pagano ingiustamente molto più degli altri. Italia e Spagna di fronte all’i­nettitudine europea si trovano come alla guida di due automobili senza freni e senza volante (ovvero sen­za tasso di cambio e politica monetaria indipenden­te). Quasi impossibile non finire fuori strada. Il governo Monti ha ancora pochissimo tempo per a­gire risolutamente, rompere questa assurda condi­zione di assedio, in una partita che si gioca tutta a li­vello internazionale dopo che l’impegno all’interno è stato più che lodevole e si dimostra continuo. Il pro­gressivo aggravarsi della situazione della Spagna do­vrebbe aiutarci a comprendere che bisogna battere i pugni sul tavolo in sede europea e pretendere alme­no due cose. Primo, una riforma delle regole dei mercati finanziari anche nella sola Unione Europea per addomestica­re i movimenti di capitale a breve come hanno fatto, dietro consiglio dello stesso Fondo Monetario, tutti i Paesi che in passato hanno vissuto crisi finanziarie riportando la finanza al servizio del Paese (tassa sul­le transazioni, limitazione dell’uso dei derivati a fi­nalità di copertura, separazione tra banca commer­ciale e banca d’affari). Secondo, uno “scudo” protet­tivo che per due anni isoli gli acquisti di titoli di sta­to italiani e spagnoli dalla speculazione sul mercato primario in cambio dell’impegno di questi due Pae­si a proseguire sulla strada delle riforme. Con l’erogazione dei 100 miliardi di euro alla Spagna decisa dall’Ue e approvata immediatamente dal Par­lamento tedesco uno spiraglio si è aperto. I soldi po­tranno essere usati anche per acquisti dei bond sul mercato primario. Se, con molta più decisione, l’Eu­ropa procederà in questa direzione (intervento illi­mitato della Bce sul primario), le armi della specula­zione risulteranno spuntate e potremo mandare in soffitta lo spread e il nostro ansioso monitoraggio quotidiano dello stesso. La possibilità dell’accordo, di un sussulto di politica alta e di fiducia, come quella che portò i leader eu­ropei del Dopoguerra a seppellire i conflitti del pas­sato per far nascere la Comunità Europea, c’è anco­ra ma i tempi stringono. I carri armati della specula­zione stanno ormai travolgendo la Spagna ed è evi­dente che poi toccherà a noi se gli appelli resteran­no inascoltati o se i nostri partner “virtuosi” vorran­no tirare troppo la corda. Speriamo di non dover ar­rivare mai al famoso ed evocativo titolo di una nota canzone che raccontava di un altro appello inascol­tato dai Paesi amici: «Radio Varsavia, l’ultimo appel­lo è da dimenticare».
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