venerdì 25 aprile 2014
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«Vietate le sperimentazioni sul matrimonio». Così dovrebbe recitare l’unico articolo di una legge da approvare per via direttissima. Una norma semplice ma ormai inderogabile per bloccare sul nascere le troppe divagazione giuridiche che si stanno accanendo su un istituto che rappresenta l’architrave stessa della società. Non bastava la spada di Damocle delle iniziative parlamentari sui simil-matrimoni e per il cosidetto divorzio breve, ora a intorbidire ancora di più le acque già agitate arriva la proposta del ministro Orlando che vorrebbe - ancora una volta su modello francese - arrivare a definire il divorzio per via extragiudiziale. Sarebbero gli stessi avvocati delle parti a concludere un accordo preventivo rendendo inutile la sentenza del giudice. Idea stravagante che rischia di scatenare problemi peggiori di quelli che vorrebbe risolvere. È  vero che la legge sul divorzio è ormai largamente inadeguata. È  vero che troppo spesso, quando non si arriva a un accordo consensuale, gli ex coniugi si fronteggiano per anni in un contenzioso estenuante sotto il profilo psicologico e devastante sotto quello economico e, troppo spesso, dei rapporti coi figli. Ma è altrettanto vero che questa deriva conflittuale è frutto di un vuoto normativo che da troppi anni affligge la legge sulla separazione. Oggi in Italia, per dirsi addio, basta un veloce passaggio dal giudice che, nel 99% dei casi, sancisce una decisione già presa dai coniugi. Tutto bene - o quasi - se la decisione nasce da un pensiero comune e meditato che, pur non annullando la sofferenza della decisione, previene comunque la  reciproca lacerazione del vissuti.  Ma quando l’accordo è faticoso, quando gli interessi in discussione rischiano di far passare in secondo piano dignità e memoria, sarebbe importante prevedere un percorso di mediazione capace di accompagnare la coppia a far chiarezza al proprio interno e, allo stesso tempo, proporre passaggi condivisi per tutto ciò che comunque andrà ancora stabilito insieme. Sembrerebbe una norma di buon senso sia per tutelare la coppia stessa, sia per rendere un po’ meno amara e dolorosa ai figli la disgregazione di una famiglia. Ma questa svolta di civiltà - perché solo di questo si tratta -  sembra ben lungi dal vedere la luce. In compenso ecco la proposta per sancire il divorzio con un accordo extragiudiziale: concludere tutto in forma privata, senza interventi da parte dello Stato.  Certo, in questo modo si snellirebbe il lavoro dei tribunali.  Ma è giusto lasciare tutto in mano agli avvocati?È come se lo Stato, che in questi anni non ha certo brillato per sollecitudine verso la famiglie, facesse un nuovo passo indietro e dichiarasse implicitamente il suo disinteresse per le sorti del matrimonio. Eppure, al momento del loro intimo sì, uomo e donna assumono nei confronti della società una responsabilità precisa e solenne. Il loro impegno ha avuto forma pubblica perché - al di là, per chi crede, del valore del sacramento che qui non è in questione - i due hanno deciso di contribuire con il loro amore al bene di tutti, al futuro della comunità di cui sono parte. Ed è come se famiglia e Stato avessero stabilito un patto. Noi coppia garantiamo il massimo impegno perché, assolvendo al meglio tutte le funzioni che ci riguardano e che nessuno può pretendere di svolgere in nostra vece - dall’educazione dei figli all’assistenza agli anziani a tante altre incombenze pubbliche e private che abbracciano una gamma amplissima di dimensioni relazionali - offriamo il nostro piccolo ma irrinunciabile contributo perché tutto nella società funzioni al meglio. È questo il valore sociale, cioè pubblico, del matrimonio che tu Stato devi - o meglio dovresti - garantire con un fisco più equo e con servizi più efficaci. Invece troppo spesso questa tutela non solo non viene assicurata, ma ora si profila un nuovo arretramento. Sottolineando il suo disinteresse per la sorte dei coniugi che affiderebbe a una trattativa meramente privata, lo Stato svuota di contenuti il patto sottoscritto con gli sposi al momento del matrimonio. Una questione di diritto e di civiltà che, banalizzando il matrimonio anche nel suo esito finale, rischia di rendere più fragile il futuro di tutti. È davvero il caso di ripensarci.
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