mercoledì 28 gennaio 2015
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I numeri ci sono preziosi, addirittura indispensabili, per capire a che punto è la notte della grande crisi e se il giorno che viene potrà davvero riaccendere il sole su una “risalita”. Ma i numeri, soprattutto certi numeri, non dicono tutto. Possono dimostrarsi incompleti e parziali, essere o apparire truffaldini, persino rivelarsi criminali. E non è solo un modo per dire dei trucchi possibili, ma per contestare la concreta maniera di comporre e di elaborare quelle “cifre” che inscatolano il passato, fotografano l’oggi e condizionano le scelte per il futuro. Se qualcuno avesse nutrito illusioni in proposito, l’anno che ci siamo appena lasciati alle spalle, il 2014, ha fatto suonare in modo indimenticabile la sveglia. In ossequio al «necessario superamento di riserve relative all’applicazione omogenea tra Paesi Ue degli standard già esistenti», nel sistema di calcolo del Pil (il prodotto interno lordo, il più citato dei numeri che ci condizionano la vita), sono stati infatti portati di peso anche il contrabbando di merci, la prostituzione e il traffico di droga. Ai non specialisti – chi scrive è tra questi – non è esattamente chiaro se, come e quanto contino pure gli omicidi, le altre violenze e le sofferenze che segnano soprattutto le ultime due “attività” (che chissà perché ci ostiniamo a concepire come “passività” nel gran libro dei conti di una società civile...), ma tant’è. Un’Unione Europea (o anche solo un’Eurozona), che non è ancora in grado di armonizzare decentemente ed efficacemente i sistemi fiscali delle nazioni che la compongono, che non sembra porsi neppure il problema di come dare intero valore a tutto ciò che le attività di volontariato “producono” per  una comunità, ha deciso di doversi fare «omogenea» nel considerare ricchezza un bel pezzo di illegalità.Se questo è il Pil (gli ultimi addendi criminali non lo rivelano, lo spiegano meglio), se questa è la ricchezza di un Paese, abbiamo proprio bisogno di altri mezzi per leggere e attestare le nostre possibilità, le energie e la qualità di ciò che stiamo costruendo o perdendo, accumulando o dissipando, di ciò che stiamo vivendo. Abbiamo urgente di necessità di disporre di un ulteriore e più giusto “metro”. Partiamo da qui, allora. Partiamo da questa insufficienza, dalla mancanza di strumenti adeguati e veritieri, Partiamo da un’indignazione che non è solo una protesta, ma una profonda obiezione di coscienza a certa cinica logica dei numeri. E non fermiamoci a una polemica, ma torniamo a una prospettiva e a una proposta che sono già state sottoposte all’attenzione di chi governa l’Italia e di chi amministra quel po’ o quel tanto di Europa comunitaria che abbiamo lentamente, prodigiosamente e contraddittoriamente costruito sinora.Se il Pil è questo, e purtroppo lo è, al nostro Governo e alla Commissione e ai Consigli che compongono il sistema di guida della Ue chiediamo di darci presto una misura più piena e convincente per valutare lo stato dell’Italia e dell’Unione. Gli esperti – anche quelli del Cnel dell’Istat che ci hanno lavorato a lungo – lo chiamano Bes, benessere equo e sostenibile, e non è un numero e basta, ma un indice complesso che aiuta a leggere, appunto, la complessità delle attività, delle tutele, dei beni e delle relazioni che fanno davvero “ricco” un corpo sociale.Dedicheremo una lunga inchiesta a questo nodo da sciogliere, e alle buone ragioni per farlo adesso. E cominciamo oggi, con il punto di Marco Girardo sul dibattito che si è sviluppato sin qui e con una intervista a Enrico Giovannini, uno che se ne intende e che su questa materia ha visto lungo e lavorato a fondo prima degli altri. Il Bes non è la soluzione delle questioni aperte, e un mezzo in più per capirle, e per capire come far vivere meglio le persone. A questo serve la buona economia, e questo è il senso del lavoro per fare “ricca” una nazione. L’Italia può e deve intestarsi questo impegno e può, comunque, dare l’esempio. Diamoci da soli un “rating” economico e civile che dica la vera forza, i veri limiti e i veri doveri del nostro Paese. E ripartiamo da qui, con consapevolezza affinata e necessaria, perché nessuno sia lasciato indietro dopo la lunga notte della crisi.
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