giovedì 29 marzo 2012
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I viaggi del Papa non sono mai facili. Ma di tutte le visite pastorali compiute in giro per il mondo da Benedetto XVI quella che si è conclusa ieri sera a Cuba è stata forse la più difficile, sottoposta continuamente ai rischi di strumentalizzazione politica e seguita con particolare severità dai mass-media internazionali. Le cortesie diplomatiche, le strette di mano e gli incontri cordiali con le autorità (il presidente Raul) e con i simboli (l’ex presidente Fidel) dell’ultimo baluardo del comunismo occidentale non devono farci perdere di vista l’essenziale, vale a dire il messaggio di speranza di un uomo vestito di bianco che si è presentato umilmente come «pellegrino della carità».Un messaggio che ha conferito alla breve ma intensa visita a Cuba del Papa un carattere che osiamo definire drammatico. Perché, com’era solito dire uno dei più grandi teologi del secolo scorso, Hans Urs von Balthasar, maestro spirituale di Joseph Ratzinger, «la libertà è drammatica». E lo è ancora di più se viene affermata, sollecitata e quasi supplicata in un crescendo che trasforma la parola in una sfida sommessa e audace. «Che nessuno si senta impedito e limitato nelle sue libertà fondamentali!», è l’accorato appello con cui Benedetto XVI si è congedato dai cubani, lasciando loro come compito «il rispetto e la cura della libertà che palpita nel cuore di ogni uomo». Libertà è stato il leit-motiv di questo straordinario viaggio papale dalla Sierra Maestra, luogo- simbolo della lotta dei barbudos ma anche cuore del culto mariano alla Virgen del Cobre, fino all’immensa Plaza de la Revolución all’Avana, punto di ritrovo delle adunate di regime che ieri mattina si è riempita di fedeli come già avvenne nel gennaio del 1998 con Giovanni Paolo II.Fin dal primo momento, Benedetto XVI si è posto in continuità con il suo predecessore, calandosi dentro una situazione che è molto cambiata rispetto a quattordici anni fa, proprio in conseguenza di quello storico viaggio. Dopo tre decenni di emarginazione la Chiesa a Cuba è uscita dalle sacrestie, è presente nella società e interloquisce con il potere politico. Il Papa ha ribadito la collaborazione offerta dalla Chiesa locale per «allargare gli orizzonti» oltre gli steccati imposti dalla dittatura. Ma, affinché questo spirito di collaborazione (grazie al quale l’episcopato ha ottenuto la scarcerazione nel 2010 di molti prigionieri politici) non si trasformi in una connivenza con il regime, ha insistito sulla necessità di una piena libertà religiosa da cui deriva il riconoscimento del ruolo della fede anche nella sfera pubblica.Non si tratta di favori, bensì di diritti. Se il regime comunista dell’Avana sognava una sorta di compromesso storico con la Chiesa locale, ecco che Benedetto XVI, con sano realismo (un termine che ricorre più volte nei suoi discorsi), indica un’altra strada, quella che passa per «la giustizia, la pace, la libertà e la riconciliazione». Dunque, nessuna benedizione, nessuna investitura per il regime dei fratelli Castro, bocciato in modo inequivocabile nei suoi fondamenti ideologici. «Il marxismo è superato», ha detto il Papa, un giudizio che non è piaciuto ai burocrati del socialismo tropicale.Oltre l’ideologia c’è la prassi. Ma anche qui Benedetto XVI non ha fatto sconti. I suoi frequenti accenni ai detenuti e ai loro familiari, alle persone che «soffrono per la mancanza della libertà», ai cubani dovunque essi siano (quindi anche agli esiliati di Miami che in qualche modo hanno voluto essere presenti, avvicinandosi con le loro imbarcazioni durante le celebrazioni liturgiche officiate dal Papa) sono stati un indiretto sostegno ai dissidenti e a tutti coloro che «preferiscono affrontare la morte piuttosto che tradire la loro coscienza e la loro fede». Il Papa è dalla loro parte.
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