Da detrazioni a No tax area Ecco la rivoluzione del fisco
mercoledì 9 aprile 2014

L’approvazione del decreto dovrebbe avvenire tra una settimana. E dunque si è ancora in tempo per tornare a suggerire una strada alternativa per l’assegnazione degli 80 euro al mese di sgravio fiscale, confermati ieri nel Def varato dal governo di Matteo Renzi: quella di agire sulle detrazioni per figli a carico anziché per lavoro dipendente. La prima mossa di una strategia più ampia per rendere maggiormente equo il sistema fiscale, ridurre la pressione sui nuclei, e far ripartire il Paese riavviando il suo motore interno: le famiglie.

IL TAGLIO DEL CUNEO
Il progetto, presentato dal premier il 12 marzo, prevede di stanziare 10 miliardi di euro per uno sgravio Irpef. Si tratterebbe in media di 1.000 euro l’anno in più destinati a 10 milioni di lavoratori dipendenti. Per riconoscerli lo strumento ipotizzato finora è quello dell’aumento della detrazione per lavoro dipendente entro i 25mila euro lordi di reddito o, come indicato dallo stesso Renzi, «i 1.500 euro netti mensili di stipendio». Una scelta che ha il vantaggio di distribuire la somma in maniera inversamente proporzionale al reddito, poiché le detrazioni calano al crescere del reddito. Ma presenta almeno tre grandi svantaggi. Il primo è quello di riguardare solo i lavoratori dipendenti (e assimilati), escludendo non solo i pensionati, ma soprattutto da un lato gli autonomi come commercianti e artigiani e dall’altro tutta quella vasta area di "mezzo" dei parasubordinati, ad eccezione dei collaboratori che rientrano negli assimilati. Il secondo svantaggio riguarda i cosiddetti "incapienti", coloro cioè che hanno redditi così bassi (e quindi non pagano imposte o le pagano in maniera limitata) da non poter godere delle detrazioni. Il terzo svantaggio è quello di non tenere in alcun conto né la composizione della famiglia del lavoratore, né se si tratti di un nucleo mono o bireddito.E dunque di perpetuare, in questo caso addirittura accentuare, l’iniquità del nostro sistema fiscale. Su Avvenire ne abbiamo già scritto il 12 e 13 marzo, ma basta un esempio per comprendere. Prendiamo due famiglie: i Rossi, con 2 ragazzi e in cui solo il padre lavora guadagnando 30mila euro lordi l’anno. E i Bianchi in cui marito e moglie hanno stipendi di 20mila euro l’anno entrambi e sono senza figli. La famiglia Rossi può contare su un reddito disponibile di quasi 27mila euro (30mila meno 3.500 di imposte al netto delle detrazioni) che devono bastare per i bisogni di 4 persone. I Bianchi, invece, possono fare affidamento su 35mila euro di reddito netto (20mila meno 2.500 di imposte per ognuno) a disposizione dei due soli coniugi. Eppure i Rossi non riceveranno benefici dalla manovra del governo (se rimarrà il tetto fissato a 25mila euro), mentre i Bianchi ne ricaveranno un vantaggio doppio, di circa 2mila euro l’anno.Assicurata "l’equità verticale" (più benefici ai redditi bassi rispetto a quelli alti), a mancare è "l’equità orizzontale", cioè assicurare il medesimo trattamento per uguali condizioni di reddito disponibile rispetto alle persone che ne usufruiscono. Un principio che sarebbe meglio onorato se, appunto, lo sgravio fiscale del governo fosse destinato alle detrazioni per figli a carico. I benefici sarebbero sempre inversamente proporzionali al reddito, perché le detrazioni calano al crescere dei guadagni lordi, fino ad annullarsi intorno ai 55mila euro. Ma senza più discriminazioni né per tipologia di contribuente – ammettendo sia i genitori autonomi sia i parasubordinati – né per tipologia familiare: con uno o due percettori di reddito. Discorso a parte per gli incapienti, circa 4 milioni di persone nel nostro Paese. Per loro è necessario prevedere o il credito d’imposta sui redditi futuri o adottare il sistema del "fisco negativo" riconoscendo direttamente con assegno la parte di detrazione non goduta.

LA STRATEGIA FUTURA
Spostare il maggiore sgravio promesso dal governo Renzi sulle detrazioni per figli a carico potrebbe rappresentare il primo passo di una riforma più complessiva a favore delle famiglie. Con due possibili strategie. La prima riguarda il riordino del sistema di detrazioni e deduzioni, con la progressiva cancellazione di alcuni sgravi fiscali (ad eccezione di quelli sanitari e per lavoro dipendente) e la concentrazione di quelle risorse appunto sulle detrazioni per familiari a carico. Alcuni dei benefici oggi previsti, infatti, hanno un rilievo sociale limitato oppure finiscono per avere effetti redistributivi al contrario.La vera alternativa è però l’introduzione graduale del "Fattore famiglia", il sistema di "quoziente alla francese", rivisto e corretto dagli esperti del Forum delle associazioni familiari. Il principio su cui si basa è quello di quantificare il costo di mantenimento indispensabile di ciascun componente il nucleo familiare. Si determina così una «No tax area» all’interno della quale l’aliquota d’imposta è pari a zero. Superata la No tax area, invece, si applicano le aliquote progressive attualmente previste. Come si ottiene questa No tax area complessiva? Moltiplicando il costo di mantenimento per il valore di una scala di equivalenza che tiene conto del numero dei figli, più eventualmente di altre situazioni particolari come disabilità, monogenitorialità e altro. La No tax area può essere applicata da entrambi i coniugi dichiaranti con il peso dei figli a carico distribuito tra i due. Ad esempio: assumendo come base di partenza per il costo di mantenimento di una persona la soglia di povertà relativa – 7.000 euro – si moltiplica questa cifra per 1,6 nel caso di 2 componenti, 2,2 per 3 componenti, 2,8 per 4 eccetera, fino a un parametro 6 in caso di 8 componenti il nucleo. La No tax area varia così da 7.000 euro per il singolo a 11.200 per due componenti, 15.400 euro per 3 persone, e così via. Questa No tax area può ovviamente risultare superiore ai guadagni complessivi di un nucleo. La parte eccedente al reddito dovrebbe quindi essere tassata in modo negativo applicando la prima aliquota, diventando così un credito di imposta o meglio un assegno.

COME ARRIVARCI PER TAPPE
L’applicazione immediata e generalizzata del "Fattore famiglia" avrebbe un costo intorno ai 17 miliardi di euro. Tuttavia, è possibile progettare un’introduzione graduale a partire dalle famiglie più numerose, ad esempio il primo anno quelle con oltre 4 figli, gli anni successivi i nuclei con 3, 2 e infine 1. I gradini relativi all’impegno economico risultano proporzionali alla numerosità delle famiglie via via coinvolte. I costi sarebbero così limitati a 900 milioni di euro per la prima applicazione alle sole famiglie con 4 o più figli a carico, circa 370mila in Italia. I successivi gradini di impegno aggiuntivo sarebbero di 2,7 miliardi (3 figli), 7,9 miliardi (2 figli) 5,3 miliardi (1 figlio). Fino ad arrivare ai 17 miliardi totali nel 2017. Come finanziare questo impegno senza aggravare ulteriormente il deficit pubblico? La risposta sta nella relazione finale del "Gruppo di lavoro sull’erosione fiscale", presieduto nel 2012 dall’allora sottosegretario all’Economia Vieri Ceriani che aveva radiografato l’intero sistema delle agevolazioni fiscali. Il primo miliardo necessario a far partire il "Fattore famiglia" potrebbe dunque essere ricavato agendo sui "Dividendi relativi a partecipazioni di natura qualificata fuori reddito di impresa". L’art. 47 del Tuir infatti prevede l’esenzione (al 50 o al 60%) dalla tassazione di questi redditi. Eliminando il beneficio, che riguarda solo 84mila persone fisiche, cioè portando a tassazione l’intero valore del dividendo, si recupererebbe 1 miliardo e 41 milioni di euro (stime relazione, pagina 268). Quanto ai rimanenti 16 miliardi di costo, occorre poi considerare che il Fattore famiglia sarebbe alternativo agli attuali sgravi per familiari a carico. E dunque questi potrebbero essere eliminati con la stessa gradualità con la quale verrebbero introdotti i nuovi moduli di No tax area. Oggi gli sgravi pesano sul bilancio pubblico per oltre 10 miliardi di euro (pagina 143). E dunque il saldo netto del Fattore famiglia da finanziare è in realtà di "soli" 6 miliardi. Un impegno "sostenibile" nell’arco di un lustro. Ma volendo si potrebbe fare un’ulteriore scelta politica e portare a tassazione ordinaria tutti i redditi da capitale (Bot esclusi) sui quali fino ad oggi gravava un’aliquota variabile e che la manovra appena annunciata dal premier porterà al 26%. Secondo le stime contenute nella relazione di Vieri Ceriani (pagina 184), l’operazione «porterebbe a un extragettito tra i 13,7 e i 15,4 miliardi di euro», ben oltre quanto necessario, dunque. Alla fine, le possibilità di avere un fisco più equo e che sostenga davvero le famiglie ci sono. Resta sempre e solo una questione di scelte.

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