giovedì 6 giugno 2013
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Ancor prima e ancor più della loro intrinseca ragionevolezza e della loro forza persuasiva, è l’eloquenza dei fatti che si susseguono sotto i nostri occhi a corroborare e a dare un’impressionante convalida alle parole pronunciate ieri dal Papa durante l’udienza generale. Parlava della questione ecologica, Francesco, in coincidenza con la Giornata mondiale dell’ambiente promossa dalla Nazioni Unite. E parlava, come già gli era capitato e come più volte avevano fatto i suoi predecessori, con un approccio da lui stesso definito umanistico. Quello che conduce a esplorare la causa più «profonda» del problema, che non è solo economica, ma è, appunto, soprattutto «una questione di etica e di antropologia», tale da giustificare l’espressione "ecologia umana". Che cosa spinge a seminare e a dare alle fiamme rifiuti tossici su centinaia e centinaia di ettari nell’ormai tristemente famosa "terra dei fuochi" campana, distruggendo colture e raccolti preziosi e compromettendo irrimediabilmente la salute di migliaia di uomini e donne? Per quale ragione amministratori e proprietari di impresa preferiscono omettere elementari norme di tutela del territorio che ospita le loro aziende e violare stringenti obblighi di sicurezza dei loro dipendenti, causando come nel Tarantino o nel Monferrato brusche impennate della mortalità per tumore o altre patologie letali? Quali motivazioni inducono misteriose organizzazioni a seppellire, nelle miniere di zolfo dismesse del Nisseno, scorie radioattive in grado di produrre danni incalcolabili, come rivelato ieri su queste colonne? E infine (ma in realtà la casistica sarebbe interminabile), da dove scaturiscono le decisioni di grandi gruppi aziendali di trasferire improvvisamente le loro sedi produttive in altre regioni, gettando nel bisogno migliaia di famiglie che non troveranno alternative occupazionali? Papa Francesco ieri non ha citato nessuno di questi casi, che traboccano dalle cronache del nostro e di tutti gli altri organi d’informazione. Ma non era certo difficile scorgerne in filigrana l’incombere, fermo restando che lo sguardo prospettico di un Pontefice si estende per forza molto oltre i confini di un singolo Paese. Comune e consona alle nostre, come alle altre e più lontane realtà, è però la risposta che si affaccia dal suo discorso agli 80mila pellegrini raccolti in piazza San Pietro. Quando dominano gli «idoli del profitto e del consumo», quando impera «la cultura dello scarto» nella quale gli esseri umani vengono tranquillamente assimilati ai rifiuti, è inevitabile che si producano le conseguenze sopra elencate. La stessa logica del guadagno ad ogni costo, del resto, spiega anche la noncuranza e la superficialità che presiedono all’altro fenomeno stigmatizzato dal Papa: lo spreco, con la connessa rincorsa al superfluo, figli di un consumismo che grida vendetta a fronte della povertà ancora così diffusa, sia a ridosso delle nostre case sia nelle regioni di antica e perdurante miseria. Mentre basterebbe un minimo di organizzazione e di fantasia per recuperare una quota rilevante del cibo sprecato (in Italia stimato pari a circa l’1 per cento del Pil!), destinandolo alle tavole delle sempre più numerose famiglie che, ricorda in tono indignato Francesco, «soffrono fame e malnutrizione». Ma il punto nodale, la vera scaturigine del tradimento che l’umanità consuma quando, anziché «coltivare e custodire la terra», la corrompe e la trasforma da madre in matrigna, emerge dall’esclamazione con cui il Papa ha interrotto la lettura del suo testo scritto: «Quello che comanda oggi non è l’uomo, è il denaro, i soldi comandano!». Sembrano risuonare le parole accorate dell’Eneide: "Quid non mortalia pectora cogis, auri sacra fames" (A che cosa non costringi i cuori mortali, maledetta fame dell’oro). Ma è una costrizione, riconosciamolo, subìta non certo per fatalità. È il frutto piuttosto di una precisa scelta, illuminata, appena pochi decenni dopo Virgilio, dal Nazareno sulle alture del Lago di Galilea: «Nessuno può servire due padroni». Amare Mammona - il denaro - impone necessariamente il disprezzo di Dio. Come stupirsi se questo disprezzo si estende poi con tanta spietatezza all’uomo fatto a sua immagine?
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