lunedì 28 luglio 2014
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La ricerca e l’incontro, la scoperta e la conquista. E infine, la scelta decisiva: quella di «mettere Dio al primo posto» e di schierarsi stabilmente dalla sua parte, di diventargli «amico» senza tentennamenti e senza compromessi. Mettendosi, in modo quasi spontaneo, dalla parte della vita e della salute degli uomini, a cominciare dai più deboli e indifesi. Proteggendo in concreto la propria «bella terra», e l’ambiente che la circonda, senza cedere alle lusinghe del potere e del denaro, senza lasciarsi invischiare nelle reti della corruttela e del malaffare organizzato, rifiutando la sopraffazione e la violenza. Soprattutto, facendo rinascere la speranza: una virtù che «c’è dove c’è Gesù» e dove il Vangelo diventa un compagno inseparabile, «nelle mani, nel comodino, nella borsa e nella tasca».Com’era naturale attendersi, Francesco ha attinto a piene mani alle immagini e alle parabole del Vangelo domenicale appena proclamato, per rivolgersi ai fedeli di Caserta, accorsi in più di duecentomila attorno alla maestosa Reggia del Vanvitelli. Lo hanno aspettato festanti, a lungo sotto la pioggia, in tanti accampandosi nella notte. Lo hanno stretto in un abbraccio quasi fisico, quello che ormai la figura stessa del Papa sembra sollecitare con la sua sola presenza. Sono arrivati presagendo che il Pastore, "per amore del suo popolo", non avrebbe taciuto. E le sue parole non hanno avuto bisogno di interpretazioni per essere comprese. Dirette e nitide, con le stesse espressioni «semplici» tipiche del Signore che lui ha sottolineato. Come lo spettacolo «terribile» della Terra dei fuochi, «tanto bella» e ora «rovinata», scorreva sotto lo sguardo del Pontefice che l’ha sorvolata in elicottero, così nella mente e negli occhi dei casertani si proiettavano immediatamente le figure e le scene evocate nella sua omelia: «il no al male» e il «dono di sé» fino al sacrificio supremo di don Peppe Diana, l’«accoglienza dello straniero e dell’immigrato» sanguinosamente negata dall’eccidio di Castel Volturno, lo sfregio dei campi (il vero "tesoro nascosto" di quei territori) «sventrati» - definizione del vescovo Giovanni D’Alise - e insozzati di rifiuti tossici, la radice velenosa di «ogni forma di corruzione e di illegalità» seminata come zizzania da quella camorra che Francesco, tra il boato di consenso della folla, non ha neppure nominato perché tanto «tutti sappiamo il suo nome».Eppure, non è principalmente il registro dell’invettiva quello che sembra restare di questa breve visita, non programmata fino a pochissime settimane fa. E neppure soltanto quello della denuncia civile e dell’appello alla giustizia, alla legalità e al perseguimento del bene comune, che pure è risuonato con forza e che speriamo arrivi a toccare i cuori di chi l’ha ascoltato.Sono invece «la sorpresa e la gioia», sono i frutti a volte ricercati (come dal mercante di perle) e a volte inattesi (il caso del «povero bracciante» che scava) dell’incontro con il regno dei cieli, quelli che il Papa ha invitato a meditare con particolare insistenza. È, sopra ogni cosa, il seme della speranza, la sola «che non delude», che egli ha cercato di spargere in mezzo a una popolazione fiaccata dalla crisi e proprio per questo particolarmente esposta al "furto" più grave: quello della fiducia nel proprio futuro.In tal modo, il messaggio che giunge dalla gremitissima piazza Carlo III si fa ancora una volta universale e chiama a fare onestamente i conti con la "classifica dei valori" sui quali ciascuno di noi incentra la propria vita. Riferendosi alla grande festa patronale di Sant’Anna, occasione di questa prima incursione pastorale in terra campana, Francesco ha sottolineato il suo ruolo di «nonna», che ha preparato Maria a diventare Regina e così «ha fatto un bel lavoro». Anche da questa immagine trapela un messaggio di sicuro incoraggiamento: proprio da una terra che in troppe sue zone l’uomo ha reso "sterile", come secondo la tradizione era la madre della Madonna, possono scaturire tesori inaspettati.
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