mercoledì 3 settembre 2014
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Il conflitto che rischia di trasformarsi in una vera e propria guerra per il controllo di estese regioni dell’Ucraina richiede un’azione immediata ed efficace da parte di tutte le potenze responsabili per evitare l’esito più disastroso. Per evitare che si arrivi a uno scontro irreversibile si mettono in campo iniziative di vario genere, da parte soprattutto dell’Unione Europea e degli Stati Uniti d’America, che attraverso pressioni diplomatiche e sanzioni economiche tendono a indurre il governo di Mosca a non spingersi al di là della linea di non ritorno. Insieme alle pressioni è necessario, se si punta a una soluzione negoziata, presentare proposte o almeno filoni di ragionamento attorno ai quali si possa costruire un processo di avvicinamento tra le posizioni oggi opposte e inconciliabili di Kiev e di Mosca, come Federica Mogherini – capo della nostra diplomazia e designato Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Unione – ha osservato saggiamente, riferendo al Parlamento europeo.L’Italia ha dovuto affrontare nella sua vicenda storica un problema di garanzia dell’autonomia di minoranze linguistiche che, pur nella differenza colossale dei casi specifici, può forse servire come riferimento per la definizione di un terreno di trattativa possibile. Naturalmente c’è chi considera un "cedimento" qualsiasi apertura a un confronto di merito, e questo sembrano in particolare pensare gli intellettuali polacchi che hanno pubblicato un appello a considerare l’espansionismo russo come quello nazista di sessant’anni fa. Chi vuole costruire la pace, però, corre sempre il rischio di essere considerato subalterno al "nemico", appunto perché il negoziato implica un riconoscimento parziale delle ragioni accampate dall’avversario. Sarebbe interessante rievocare le polemiche roventi che furono rivolte contro Alcide De Gasperi quando accettò, in questo spirito, di stipulare un accordo col ministro degli esteri austriaco Karl Gruber per garantire l’autonomia dell’Alto Adige, territorio italiano di lingua prevalentemente tedesca.Accettare di sottoporre a garanzia internazionale la forma istituzionale dell’autonomia di un territorio nazionale venne considerato un cedimento inaccettabile dai nazionalisti (anche da quelli che rivendicavano sinceramente la sovranità democratica, non solo dagli eredi del fascismo che aveva gestito un tentativo di italianizzazione forzata). L’accordo del 1946 non evitò tensioni nella provincia di Bolzano e nemmeno frizioni internazionali, come quella che nacque dalla protesta austriaca del 1956 sulla presunta inosservanza di punti del trattato. Tuttavia, il patto ha indubbiamente retto e funzionato, e per questo può, forse, rappresentare una traccia di ricerca per la garanzia multilaterale di forme di autonomia delle comunità russofone dell’Ucraina orientale, nell’ambito di una unità territoriale dello Stato ucraino accettata anche dalla Russia. Naturalmente si tratta di verificare se le posizioni più moderate degli ucraini filorussi, che si dicono interessati a ottenere una robusta autonomia nell’ambito di uno Stato ucraino federale, sono abbastanza forti da imporsi sui settori più estremi che cercano di provocare un conflitto generale per proclamare la secessione e l’annessione alla Russia. E, del resto, anche la concessione di forti autonomie non è di per sé in grado di disinnescare potenziali evoluzioni secessionistiche, ma questo vale anche per tante altre zone d’Europa – dalla Scozia alla Catalogna – che non presentano però rischi di scontro bellico. È ovvio che sarà decisiva la scelta del governo russo, che oscilla tra l’appoggio esterno (o, comunque, per ora non palesemente "in campo") agli insorti ucraini per far accettare l’annessione della Crimea e la volontà di distruggere l’unità statale dell’Ucraina per sanzionare nel modo più radicale l’iniziativa autonoma delle repubbliche ex sovietiche (a eccezione di quelle baltiche).Il problema della evoluzione delle relazioni generali tra Russia e Occidente, che hanno raggiunto un livello di tensione simile e, per qualche aspetto, peggiore di quello vigente durante la guerra fredda, sarà comunque difficile da risolvere e richiederà, ben che vada, molto tempo. Ora quel che è urgente è evitare che la tensione precipiti in una prova di forza militare, dalla quale non si sa come si potrebbe uscire e che comunque provocherebbe migliaia di vittime e, per questo, oltre alla pressioni serve una iniziativa costruttiva che rappresenti un punto di riferimento per chi, in ognuno degli schieramenti, si rende conto del pericolo mortale rappresentato da un’altra guerra in Europa, proprio a cent’anni dall’inizio della prima, grande e mai abbastanza compresa nella sua tragicità «inutile strage».
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