giovedì 10 ottobre 2013
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«Buio a mezzogiorno» è il titolo di uno dei romanzi più potenti e simbolici di Arthur Koestler, autore ungherese passato attraverso nazismo, stalinismo, Legione straniera, fino alla tragica scelta del suicidio. Libero pensatore, nemico di ogni dittatura e delle ideologie che le generano, nel suo libro descrive il tremendo meccanismo delle confessioni in epoca stalinista, dove il protagonista Rubasciov, da carnefice asservito al sistema diventa vittima: viene prima arrestato, poi imprigionato, quindi accusato, e infine condannato, dopo un processo in cui confessa colpe e delitti che non ha commesso.Come lui a migliaia sotto ogni dittatura andavano, rassegnati, verso il patibolo e la damnatio memoriae, a favore del Moloch vorace dell’ideologia che ingoiava anche la dignità della persona. Confessavi le peggiori iniquità, che non avevi commesso; la tua integrità e dignità era spezzata definitivamente, e nemmeno la tua memoria sopravviveva. Analoghi percorsi e processi avvenivano negli autodafé celebrati per molti secoli, connessi anche alla Inquisizione, dove persino la Chiesa, tradendo se stessa, torturava e condannava innocenti, costringendoli a negare la propria verità. Ammetti la tua colpa, péntiti, e sacrifica anche la dignità della tua memoria.Guido Barilla sembra finito in un meccanismo analogo: dopo aver dichiarato, in libertà e senza costrizioni, il suo libero parere sul matrimonio, sulla «famiglia tradizionale», sulle proprie scelte pubblicitarie, sui «matrimoni gay» (sui quali si è dichiarato favorevole, pensate un po’!), subisce un diluvio di attacchi, offese, minacce di boicottaggio, in Italia e all’estero. Ed è stato costretto a dichiararsi "pentito" («mi scuso, ho ancora molto da imparare»…) prima con un video sulla rete, tradotto anche in inglese, e poi sottoposto a un incontro riparatore con alcune delle associazioni di omosessuali. Le va a trovare nell’ufficio di consigliere regionale emiliano di Franco Grillini, ed è costretto a dichiarare, che «è stata una voce dal sen fuggita». Potenza del marketing, ma anche potenza di una lobby gay per una volta in azione davanti ai riflettori. Capace di contestare una parola pacata, un giudizio sulla realtà magari non condiviso da tutti, ma assolutamente legittimo, conforme a tutte le leggi del nostro Paese, addirittura aderente al dettato costituzionale.La prima colpa di Guido Barilla? Aver detto: «Per noi il concetto di famiglia è sacrale, rimane uno dei valori fondamentali dell’azienda. Non faremo uno spot gay perché la nostra è una famiglia tradizionale… A uno può non piacere. Se gli piace la nostra pasta, la nostra comunicazione, la mangia. Se non gli piace quello che diciamo, farà a meno di mangiarla e ne mangerà un’altra». In questo Paese si potrà continuare ad avere queste idee e a potere esprimere queste preferenze, oppure saremo condannati per omofobia?La seconda colpa di Barilla? Non aver avuto il coraggio di difendere le proprie idee, davanti a un attacco ideologico, politico, e anche economico – il boicottaggio dell’azienda. E chissà quante pressioni, in queste brevi ma intense ore, per "aiutarlo" a decidere… Ripensamento, voglia di dialogo, ferree leggi del marketing… chissà cosa ha pesato di più!La vicenda dimostra che non si tratta più di difendere persone oggetto di violenze e discriminazioni. Al contrario si tratta di difendere la libertà di pensiero e di parola nel nostro Paese. Il disegno di legge sulla «omofobia» approvato dalla Camera e che ha appena iniziato il suo iter al Senato limita fortemente la libertà di espressione. Si rischia una vera e propria legge-bavaglio. Non si potrà nemmeno più difendere la Costituzione, né il diritto-dovere dei genitori di educare i figli in base ai propri convincimenti, non si potrà nemmeno dichiararsi a favore dell’esistenza e della preferenza di "padre" e "madre". Davvero la tutela dei diritti delle persone omosessuali coincide con l’accusa di omofobia a chi la pensa diversamente? Forse anche i movimenti gay dovrebbero ripensarci.L’ideologia rifiuta la verità, e, come diceva Chesterton, saremo costretti a «dimostrare che le foglie sono verdi in estate». Oppure, per tornare alla tragica lucidità di Koestler, dovremo lottare anche solo per poter dire che non è «buio a mezzogiorno».
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