giovedì 23 luglio 2015
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«Gioca subito», «avrai pagamenti immediati garantiti» e bonus fino a «1.000 euro». Sono alcuni ammiccanti inviti presenti sulle homepage della sterminata filiera di siti di poker online. Su quelli registrati in Italia (in alto e con caratteri più piccoli rispetto agli ammiccamenti) compaiono a rigor di legge l’avvertenza di «giocare solo se maggiorenni» e quella sul rischio di dipendenza patologica. Ma c’è un’altra "avvertenza" che non compare e che forse le miriadi di giocatori, anche quelli pronti a cimentarsi in una sola mano di Texas Hold’ em "per il piacere di farlo", farebbero bene a tenere a mente. È il rischio che i soldi scommessi – pochi o tanti che siano – finiscano per confluire in uno dei fiumi carsici di denaro che, attraverso i paradisi fiscali, confluiscono nelle pingui casse delle mafie, che usano il settore per sbiancare il dirty money, lo sporco tesoro, accumulato coi traffici più biechi. Che non sia uno spauracchio immaginario, lo conferma l’inquietante scenario rivelato dall’inchiesta "Gambling" della procura di Reggio Calabria, chiusa ieri con l’esecuzione di 41 misure cautelari. Ferma restando la necessità di una conferma delle accuse in sede processuale, i primi esiti evidenziano ben più che la punta di un iceberg, a partire dal sequestro di 11 società estere e 45 in Italia, oltre a 1.500 punti commerciali per la raccolta di giocate, 82 siti di gambling e molti immobili, per il controvalore astronomico di 2 miliardi di euro. I tempi e le tecnologie, è evidente, sono cambiati. Se dieci anni fa "cosa nostra" spediva pensionati siciliani a giocare nei casinò valdostani per "lavare" i soldi del pizzo e della droga, oggi Internet semplifica tutto. E visto che i "bucati" da fare sono tanti (si pensi ai miliardi accumulati con lo smercio di cocaina) perché accontentarsi di usare una tantum la lavatrice a gettone, quando si può possedere intere lavanderie? In controluce, nel tentativo di colonizzazione dell’azzardo online, si può leggere l’ennesima metamorfosi mafiosa. I magistrati reggini tratteggiano una ’ndrangheta «fluida e camaleontica» con una «micidiale abilità nell’adeguarsi e adattarsi alle moderne esigenze del mercato». Il dinamismo è una caratteristica mafiosa e i siti di poker sono opportunità per «cambiare pelle», colte al volo da rampolli delle ’ndrine che, annota il gip di Reggio Calabria Caterina Catalano, «non aspirano più a vivere come i loro nonni... con la coppola in testa e la lupara sotto braccio», ma anzi «studiano in prestigiose scuole e università delle grandi città, conoscono le lingue, usano gli strumenti informatici con estrema competenza». Così il paravento "legale" del gioco online arriva a fagiolo, in un momento in cui parti della società civile, prosegue amaramente il gip, hanno elevato le cosche a interlocutrici privilegiate in «un tragico patto di mutuo soccorso». Ad additare il rischio di un asse fra boss e colletti bianchi dell’azzardo è lo stesso procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, quando afferma che «la ’ndrangheta investe nel gioco online», aggiungendo che il comparto è «ancora troppo poco attenzionato rispetto all’importanza e alla rilevanza economica di affare criminale». Secondo gli inquirenti, i presunti ’ndranghetisti che pilotavano la Betuniq, società maltese capofila della rete sotto inchiesta, avevano un obiettivo: partecipare nel giugno del 2016 al nuovo bando per le concessioni di Stato. Fra un anno, infatti, le concessioni per il gioco a distanza scadranno, riaprendo un mercato dal valore di almeno 728 milioni di euro, che potrebbe rappresentare un nuovo Eldorado per le organizzazioni criminali. In attesa di paletti ad hoc che limitino quel rischio, il quadro svelato ieri dalla procura di Reggio Calabria dovrebbe suggerire a chi gioca "per divertimento" di farsi qualche domanda in più (a chi sto dando i miei soldi?) e al Parlamento di alzare l’attenzione su qualcosa che, dietro gli ammiccanti inviti dei siti, non nasconde solo i noti e dolorosi rischi di dipendenza per il singolo giocatore, ma anche devastanti insidie per l’intero circuito economico e di difesa della legalità. Uno scandalo e una minaccia che troppi, anche al Ministero dell’Economia e delle Finanze, anche nel Governo, continuano a sottovalutare e persino negare e che invece sono presenti, pressanti, sempre più intollerabili.
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