sabato 17 dicembre 2011
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Sarà per il clima natalizio che accende qualche lucina anche dentro le menti buie, o qualche tenerezza anche nei cuori di pietra, fatto sta che per i detenuti tormentati nelle carceri italiane sembra ora annunciata, in tempi di crisi e di patimenti per tutti, una fiammella di speranza. Tormentati è la parola giusta, per gli uomini ristretti in spazi inferiori a quelli prescritti per gli allevamenti animali. Ora si è deciso di mandare a casa in 'detenzione domiciliare' quelli a cui mancano meno di 18 mesi alla fine della pena. Sono circa 3mila persone. Ma se si volesse far tornare l’indice di affollamento al livello di saturazione totale (cioè al tutto esaurito, al tutto pieno invece che allo strapieno) bisognerebbe sfollarne subito altri 20mila.No, non è un "regalo" sotto l’albero di Natale, questo soprassalto del governo tecnico, dopo le infinite denunce, le sofferenze, le prese di posizione anche del Capo dello Stato, le vicende tragiche dei suicidi (64 quest’anno, ancora tre negli ultimi giorni). Non è un regalo, con prigioni così, è un atto di minima giustizia, anzi, di minima risposta a un lungo rimorso; di minima promessa di conversione. Perché ora è divenuto chiaro a tutti che le manovre d’emergenza, i deflussi obbligati, gli accorgimenti contro il turnover degli arresti che durano pochi giorni, saranno pannicelli caldi se non si affronta il problema strutturale.Venendo al nocciolo, bisognerà capire perché si finisce in carcere, e perché così in tanti adesso (quasi triplicati in vent’anni, un assurdo, o un mistero) e che cosa succede davvero là dentro, e come ci si trova quando si esce; e che cosa frutta, alla fine, quella immensa sofferenza che si consuma in quel modo, o quale diverso disastro procura. Sono domande ineludibili, che ora passano in un discorso divenuto basso, vergognoso persino, noi che un tempo scrivemmo sulle gazzette ufficiali (1975) i traguardi della rieducazione, dell’emenda, della risocializzazione. La parola emblematica, la bandiera vorrei dire del sistema penitenziario, entrata anche nel motto 'vigilando redimere' dei custodi, fu ed è una parola di redenzione. Oggi il traguardo natalizio è per noi semplicemente smettere di torturare. Chiediamo dunque che l’annuncio del governo sia solo il primo passo di una strada "di giustizia" nuova. Nuova vuol dire nuova e non semplicemente rattoppata. Nuova, e doverosa, è la persuasione che il carcere è di per sé una misura estrema, e tra le varie pene è l’ultima ratio, fors’anche l’ultima dismisura. Leggi e leggine colleriche che minacciano carcere e sfracelli per ogni violazione smentiscono ogni giorno il proposito e l’indirizzo della "depenalizzazione", che saggiamente si dice poi di perseguire. Tra i vari castighi che si infliggono, è più fruttuoso quello che invoglia a un recupero di fedeltà dopo pagato il conto (le pene 'alternative', le prestazioni socialmente utili) piuttosto che alla rivolta rabbiosa dopo l’umiliazione. E le minime devianze vanno medicate, non reiette. C’è un monito anche per i giudici, perché quando devono condannare dicono "visti gli articoli" e poi "reclusione", e certamente gli articoli li hanno visti, ma che cosa sia la reclusione da dentro non gliela fanno vedere.Chissà che un giorno qualcuno non sollevi un problema di costituzionalità, se al condannato non si dà la pena che c’è negli articoli, ma la tortura. Anche più tremendo è il problema del carcere preventivo per i "presunti innocenti" accusati; sono 28mila, e fra essi migliaia di innocenti 'veri' che verranno assolti. Pensateci bene, ci vuole un po’ di coscienza.
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