venerdì 11 dicembre 2015
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Leggendo i dati forniti dall’Istat sul totale dei morti in Italia nei primi sette mesi del 2015 – ultimo aggiornamento a tutt’oggi disponibile – si scopre un aumento di 39mila decessi rispetto agli stessi primi sette mesi del 2014. La cosa non è affatto marginale se si pensa che ciò corrisponde a un aumento dell’11% e che, se confermato su base annua, porterebbe a 664mila morti nel 2015 contro i 598mila dello scorso anno. Si tratterebbe di un aumento di ben 66mila unità, che si annuncia in gran parte concentrato sulla componente femminile (+40mila) e che verosimilmente coinvolgerà soprattutto la componente più anziana della popolazione residente nel nostro Paese.Il dato è impressionante. Ma ciò che lo rende del tutto anomalo è il fatto che per trovare un’analoga impennata della mortalità, con ordini di grandezza comparabili, si deve tornare indietro sino al 1943 e, prima ancora, occorre risalire agli anni tra il 1915 e il 1918: due periodi bellici della nostra storia che largamente spiegano dinamiche di questo tipo. Viceversa, in un’epoca come quella attuale, in condizioni di pace e con uno stato di benessere che, nonostante tutto, è da ritenersi ancora ampio e generalizzato, come si giustifica un rialzo della mortalità di queste dimensioni? È solo la naturale conseguenza del cambiamento in un popolo che diventa sempre più anziano o è (anche) un segnale di allarme rispetto a un sistema socio-sanitario che, dopo averci abituati al continuo allungamento della vita, – con guadagni sensibili anche in corrispondenza delle età anziane – inizia a mostrare i limiti e i condizionamenti derivanti da una congiuntura economica meno favorevole? Detto in altre parole: gli effetti della crisi, i tagli di cui sentiamo spesso parlare e che non hanno certo risparmiato la sanità, hanno forse accresciuto nel corrente anno il rischio di mortalità in corrispondenza dei gruppi tipicamente più fragili: i vecchi e i "grandi vecchi", più di ogni altro?Non potendo ancora disporre dei dati puntuali sull’incidenza dei decessi per singola età e per genere nel corso del 2015 – dati che ci consentirebbero di valutare gli eventuali cambiamenti del rischio di morte – possiamo sin da ora cercare almeno di capire se, e soprattutto in quale misura, l’impennata di mortalità del 2015 sia ascrivibile al semplice processo di invecchiamento della popolazione italiana o se invece vada argomentata in altro modo. A tale proposito, andando a vedere come è cambiata la composizione per età dei residenti tra il 1° gennaio del 2014 e alla stessa data del 2015 scopriamo subito che, a fronte di 159mila unità in meno nella fascia d’età fino a 60anni, se ne contano +70mila in età tra 61 e 70 anni, +40mila tra 71 e 85 anni e +62 mila con oltre 85 anni. Lo spostamento verso le età più "mature" è ben evidente, ma è sufficiente a spiegare un aumento della mortalità nell’ordine (presumibile) dei 66mila casi annui di cui si è detto? La risposta è no. Le modifiche nella struttura della popolazione non spiegano che in minima parte la maggior frequenza di decessi. In particolare, valutando l’ipotetico numero di morti derivante dal solo cambiamento nella struttura per sesso ed età della popolazione nel corso del 2015 si arriverebbero a spiegare circa 16mila decessi in più rispetto al 2014. E le altre 50mila unità come le si giustificano?La questione resta aperta. Tra qualche mese avremo certamente dati più completi che, ci si augura, consentiranno spiegazioni esaurienti. Oggi resta comunque il dubbio, e forse anche la paura, nel constatare l’improvviso e inspiegabile cambiamento di rotta di una delle componenti che determinano il corso della dinamica della popolazione italiana. La presenza di 66mila morti in più, se confermata dal resoconto di fine anno, rappresenta un segnale importante che la demografia consegna alla riflessione sia del mondo scientifico sia di quello della politica, della pubblica amministrazione e del welfare. Ogni scelta pesa. Attenti ai morti, dunque. Ascoltiamo ciò che dice questo evento "straordinario". Perché vorremmo tanto che possa restare tale.
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