venerdì 11 luglio 2014
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A poco più di un mese dalla prova nazionale nell’esame di stato di terza media abbiamo già a disposizione i dati sulla rilevazione degli apprendimenti Invalsi 2014. Non è scontato poter disporre in così breve tempo di un’immagine dettagliata ed affidabile dei livelli di apprendimenti dei nostri studenti su aree importanti come la comprensione della lettura, la conoscenza lessicale, grammaticale e la matematica. Prima del giugno 2008 sarebbe stato impensabile poter parlare della situazione della scuola italiana avendo a disposizione dati come questi. I risultati per certi versi sono confortanti: in questi anni il divario tra Nord e Sud nella scuola primaria è diminuito in modo significativo, ci sono regioni come le Marche che da tre anni hanno sempre un delta positivo al punto da entrare nel gruppo delle regioni del Nord che si collocano sempre al di sopra della media nazionale, gli Istituti tecnici del Nord-Est hanno gli stessi risultati in matematica dei Licei. Emerge, però, in modo assolutamente chiaro e inequivocabile che i divari regionali crescono in modo esponenziale a partire dalla scuola secondaria di primo grado e le differenze si aggravano nel biennio delle superiori. In questi anni si è sempre detto che la scuola media è l’anello debole del sistema, ma, guardando questi risultati, emerge in modo chiaro che questo "buco" diventa una voragine nel biennio delle superiori. Solo un esempio: il 75% degli studenti di seconda superiore della Sardegna ha in matematica un risultato inferiore alla media nazionale. Basterebbe correlare questi risultati con il numero degli studenti bocciati, la quantità di ragazzi promossi con debiti formativi, il tasso di dispersione scolastica, i risultati negativi dei ragazzi che ripetono (sia nelle indagini nazionali sia internazionali) per capire la gravità del problema. Tutti i docenti sanno che la sufficienza con cui il 30% degli studenti di terza media esce dall’esame di stato nasconde gravi lacune, e non è un mistero che la maggior parte di questi ragazzi si iscriva agli istituti professionali dove si raggiungono punte del 50% di bocciati. Abbiamo un quadro che chiede cambiamenti veri. Occorre un piano di formazione diffuso ed efficace legato a una valorizzazione professionale dei docenti. Senza il loro coinvolgimento è impossibile cambiare il metodo con cui si lavora all’interno della scuola. È necessario potenziare l’offerta formativa della scuola media attraverso percorsi opzionali, laboratori e attività di recupero per aiutare ad acquisire un metodo di studio efficace: solo tenendo viva la curiosità e la passione per la bellezza si può coltivare nei ragazzi quella propensione naturale all’apprendimento che avevano quando erano bambini. Per il primo anno di superiori non è diverso, la parte di consolidamento delle competenze di base dovrebbe essere curata attraverso percorsi personalizzati, tempi scolastici più distesi, insegnamento per livelli e classi aperte, percorsi per il recupero e la cura dell’eccellenza. Sarebbe necessario favorire in modo intelligente i passaggi tra un indirizzo di scuola e un altro per evitare di perdere tanti ragazzi per strada. Per gli istituti professionali occorrerebbe una riforma radicale: così non va. Un’ipotesi potrebbe essere farli confluire nell’istruzione tecnica dotandoli di uno statuto speciale: più ore di laboratorio, contratti per docenti specialisti provenienti dai settori produttivi, flessibilità e personalizzazione dei percorsi, diploma in alternanza scuola lavoro e in apprendistato. Una strada che dovrebbe andare di pari passo con il potenziamento e la messa a regime della formazione professionale che in alcune regioni da ottimi risultati. E le risorse? Se vogliamo il bene dei nostri figli, dobbiamo avere il coraggio di aprire accanto ai cantieri per ristrutturare le scuole anche questi cantieri.
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