martedì 24 novembre 2015
Robot e veicoli teleguidati, una nuova questione etica. (Raul Caruso)
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La guerra è brutale. Seppur brutale, essa è stata finora un’azione umana. L’avvento dei droni (Uav, Unmanned Aerial Vehicles) da combattimento, comandati a distanza, ha cominciato a modificare questa realtà dei fatti. Negli ultimi dieci anni l’utilizzo dei droni è stato massiccio in scenari di guerra quali quelli di Iraq, Afghanistan, Pakistan, Somalia e Yemen. In questi giorni droni inglesi accompagnano gli aerei francesi nei bombardamenti della capitale dell’Is e anche droni russi sono impiegati in Siria dopo essere stati utilizzati in Ucraina. Gli Stati Uniti sono stati il Paese leader nello sviluppo e nell’utilizzo dei droni, ma Israele, Cina e Russia stanno incrementando e sviluppando la propria produzione. In generale, la domanda e l’utilizzo dei droni a livello globale sembra destinato ad aumentare in tempi brevi. Nelle ultime settimane, ad esempio, è arrivato anche il nullaosta all’Italia per armare i propri droni di produzione statunitense con un impegno finanziario di circa 130 milioni di dollari per l’acquisto dei necessari armamenti. E vi sono timori finanche sulla eventualità che possano servirsene gruppi terroristici, come indirettamente ha confermato la decisione del prefetto Gabrielli di dichiarare il cielo di Roma no-fly zone durante il giubileo. Secondo gli esperti, quindi, il mercato dei droni raddoppierà entro il 2024 fino a raggiungere i dieci miliardi di euro annui.
Tale crescita, peraltro, potrebbe non riguardare esclusivamente i droni. Ulteriori evoluzioni della tecnologia militare lasciano immaginare un futuro in cui ai veicoli teleguidati saranno affiancati robot e dispositivi "intelligenti" non guidati dall’uomo, in grado di sostituire l’uomo nelle decisioni in combattimento. In breve, quello che la letteratura fantascientifica aveva immaginato anni addietro, sembra stia per divenire realtà.  Negli ultimi anni, a questo proposito, è cominciato un dibattito in merito all’opportunità di proseguire su questa strada che renderebbe la guerra sempre meno "umana" e quindi maggiormente esposta a ulteriori problematiche di natura etica. Minori preoccupazioni sembrano invece sorgere in merito all’efficacia di tali macchine e all’impatto del loro utilizzo sulla condotta e la durata delle guerre. Ma tali considerazioni non sono di poco conto. All’interno delle strategie belliche, complementare agli scontri armati è sempre stata la "conquista dei cuori e delle menti" delle popolazioni nemiche. Invero, i belligeranti hanno sempre utilizzato in maniera accorta la comunicazione se non vere e proprie strategie di propaganda per riportare a proprio vantaggio le ragioni dei conflitti cercando di garantirsi un appoggio da parte delle popolazioni. L’utilizzo dei droni, "disumanizzando" la pur già brutale pratica bellica, rende attualmente molto difficile la conquista dei cuori e delle menti. Tale incapacità dipende, in molti casi, dal numero elevato di vittime civili tra le popolazioni oggetto degli attacchi.
A dispetto della pubblicizzata precisione chirurgica, infatti, uno studio diffuso nei mesi scorsi sui media internazionali ha mostrato che in Afghanistan gli attacchi operati con droni tra il 2010 e il 2011 fossero stati dieci volte più letali per i civili rispetto agli attacchi aerei tradizionali. Inoltre, tra il 2004 e il 2007 si era stimato che la percentuale di vittime civili negli attacchi di droni operati in Pakistan, Somalia, Yemen, era vicino al 60%. Questa incapacità di ridurre le vittime civili contribuisce a spiegare perché a livello globale gli attacchi operati per mezzo di droni risultino profondamente impopolari. Secondo un sondaggio pubblicato nel 2014 dal centro di ricerca americano  indipendente PEW, in trentasette Paesi su quarantaquattro più della metà delle persone intervistate disapprovava gli attacchi di droni. La disapprovazione è prevedibile nei Paesi obiettivo degli attacchi e in particolare in Paesi mediorientali. Ma è maggiormente rilevante negli stessi Stati Uniti, dove peraltro quasi la metà degli intervistati si è detta contraria agli attacchi dei droni e tale disapprovazione è risultata in crescita tra il 2013 e il 2014. In questo senso deve far riflettere che dopo gli attacchi di Parigi quattro veterani dell’aviazione militare americana hanno inviato una lettera aperta al Presidente Obama evidenziando che l’utilizzo dei droni è una delle principali forze di reclutamento dell’Is esattamente a causa del gran numero di vittime civili che infiammano sentimenti di odio verso gli Stati Uniti. La mancanza di popolarità all’interno degli stessi Stati Uniti, peraltro, è anche dovuta alla diffusione di uno studio commissionato da un centro di ricerca delle forze armate americane in merito alle conseguenze sulla salute mentale dei manovratori dei droni.
I risultati hanno mostrato che i piloti, pur operando in remoto in basi lontane dalle zone di guerra, presentano problemi mentali quali depressione, ansia e disturbo post-traumatico da stress al pari dei piloti impegnati direttamente in zone di guerra. In breve, il ricorso ai droni non sembra godere di grande sostegno sui diversi fronti delle guerre in cui essi sono impiegati. Sembra pleonastico aggiungere che l’eventuale ricorso a robot e altre armi non guidate da umani non può che peggiorare questo stato di cose. In ultimo, un’ulteriore diffusione di droni e robot potrebbe essere ancor più controproducente dal punto di vista della risoluzione dei conflitti. Le guerre potrebbero non avere fine e i costi umani e materiali potrebbero infine aumentare. Deve far riflettere il fatto che sia lo sviluppo sia l’utilizzo dei droni e di altri armamenti non guidati dall’uomo derivano da una sostanziale azione di lobbying, cioè di attività di pressione sulle istituzioni, da parte delle grandi imprese operanti nell’industria militare e aereospaziale, in particolare negli Stati Uniti. La spesa di lobbying aggregata delle principali imprese americane produttrici di droni dal 2000 al 2012 è stata stimata intorno ai seicento milioni di dollari. Nel triennio, tra il 2000 e il 2002, ad esempio, la General Atomics aveva aumentato le proprie spese di lobbying a un tasso del 49% annuo e nello stesso periodo la Northrop Grumman aveva fatto registrare un aumento del 27%.
Più in generale, tra il 2006 e il 2008 le cinque più grandi imprese produttrici di droni hanno aumentato le proprie spese di lobbying a un tasso di poco superiore al 17% contro il 9% medio di tutti gli altri settori industriali americani. La pressione è stata estremamente efficace se si considera che la spesa del dipartimento della difesa americano è passato da 284 milioni di dollari nel 2000 a 3,3 miliardi di dollari nel 2010 per poi attestarsi intorno a questa cifra negli anni a seguire. Ma, come sottolineato in precedenza, questo massiccio investimento da parte dell’industria militare americana ha poi ingenerato secondo alcuni osservatori una vera e propria corsa agli armamenti a livello globale nel settore della tecnologia dronica e robotica. È verosimile che gli Stati Uniti manterranno la leadership per alcuni anni, ma la rapida diffusione di tecnologia e competenze specializzate renderanno le imprese produttrici di diversi paesi sempre più competitive. I prezzi tenderanno a diminuire favorendo la diffusione di droni e robot. Questo potrebbe cambiare in maniera significativa la forma delle guerre in un futuro non remoto.
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