giovedì 22 settembre 2016
​​La rinuncia, attesa e scontata, lascia sul tavolo molti interrogativi. Riuscirà l'amministrazione a realizzare le infrastrutture necessarie? E perché il M5s non ha optato per il referendum cittadino? Roma città chiusa, Raggi dice no
Il no di Roma, una politica senza ali
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Mai un 'no' fu più centellinato e, al tempo stesso, più scontato. Ma alla fine è arrivato: Roma, dunque, non è più in corsa per ospitare i Giochi Olimpici e Paralimpici del 2024. Per uno degli imperscrutabili motivi che sembrano aleggiare di questi tempi sul Campidoglio, l’annuncio non è avvenuto, come previsto, al termine di un incontro tra la delegazione del Coni e Virginia Raggi: quest’ultima è arrivata in Comune quando i presidenti dei Comitati olimpico e paralimpico, Giovanni Malagò e Luca Pancalli, se n’erano già andati dopo averla attesa per un bel po’. Quello che a Malagò (e non solo a lui) è parso un chiaro sgarbo istituzionale, è stato derubricato dalla sindaca a semplice contrattempo. Fatto sta che, se di strappo doveva trattarsi, così lo è stato alla massima intensità possibile: conferenze stampa separate.  Sfugge davvero, tra l’altro, il senso dell’annuncio della prima cittadina secondo cui oggi incontrerà Malagò per discutere degli Europei di calcio del 2020, per i quali è previsto che Roma ospiti 4 (quattro) partite in tutto. Nei giorni scorsi s’era detto che Raggi stesse meditando di deviare dalla strada già tracciata da Grillo e dal Movimento 5 Stelle e che, alla fine, avrebbe perfino potuto 'osare'. Nessuna sorpresa, invece. Ma la rinuncia, per quanto attesa, è destinata ad avere inevitabili ripercussioni su una città che non se la passa per niente bene. Già, perché l’argomento che ha indotto il M5S a dire 'no' è lo stesso che si poteva usare per dire 'sì'. E cioè: «Roma ha bisogno di ben altro». È vero, però le Olimpiadi non si terranno domattina, bensì tra otto anni. E la scelta (a questo punto tra Parigi, Los Angeles e Budapest) della città ospitante da parte del Comitato internazionale olimpico avverrà tra un anno, a settembre del 2017. Nel frattempo, magari, Roma avrebbe potuto trarre qualche vantaggio dal tentativo di presentarsi al meglio a quell’appuntamento. Intendiamoci, le ragioni di chi è contrario sono rispettabili e per molti versi anche fondate, soprattutto dal punto di vista del rientro economico complessivo. Il mondo (e Roma stessa) è pieno di strutture realizzate per importanti appuntamenti sportivi e poi lasciate al degrado e all’abbandono. Ma nel caso specifico, viste le condizioni in cui si trova, forse la Capitale avrebbe avuto più da guadagnare che da perdere, con l’afflusso di risorse esterne alle esangui casse comunali e con un saggio di buona e trasparente gestione di quei fondi. Siamo sicuri, per esempio che adesso, libera dalle 'incombenze olimpiche', l’amministrazione riuscirà a prolungare, fino a Tor Vergata da una parte e al Foro Italico dall’altro, la tormentata e infinita (in quanto a lavori e intoppi) linea C della metropolitana? O a restituire ai romani lo stadio Flaminio, un tempo gioiello incastonato nell’omonimo quartiere alle pendici della collina dei Parioli e oggi pericolante e vandalizzato fantasma di cemento? Sarà realizzato ugualmente l’ampliamento della rete tramviaria? E, se sì, perché dovrebbe ritenersi scongiurato il pericolo di ruberie e infiltrazioni criminali nei lavori, dato praticamente per certo dai pentastellati in caso di appalti pre-olimpici? Viene infine da chiedersi come mai un movimento che propugna l’«uno vale uno» e la democrazia diretta non abbia voluto fare della questione materia di un (pur promesso) referendum cittadino. Non basta affermare, come fa la sindaca, che «il 70% dei romani ha detto 'no' alle Olimpiadi» scegliendo lei al ballottaggio di giugno con Roberto Giachetti. Anzi, in questo modo rischia di svalutare la sua proposta politica, quasi fosse unicamente incentrata su quel 'no'. La giustizia del mondo punisce chi ha le ali e non vola, canta Lorenzo Cherubini in arte Jovanotti. Il quale nella Capitale è nato, ma risiede (fortunato) a Cortona. Roma, che è dotata di ali d’aquila fin dai tempi dell’Impero, stavolta non ha neanche provato a spiccare il volo. L’anno scorso di questi tempi, quando la candidatura fu ufficializzata dall’allora sindaco Ignazio Marino e la città era ancora sottosopra per lo tsunami di 'mafia capitale', avemmo modo di scrivere: «Dopo aver toccato il fondo, sprofondando in melmosi mondi 'di mezzo' e 'di sotto', è ora che Roma si dia lo slancio per tornare in superficie. Almeno per partecipare con onore, nello spirito del barone de Coubertin». Invece ieri è stato deciso che l’importante è non partecipare.
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