giovedì 18 agosto 2016
​193mila euro lorde l'anno per il capo di gabinetto del Comune di Roma, la proposta di Marco Olivetti: istituire una Commissione parlamentare d'inchiesta per analisi e criteri retributivi.
Stipendi in Campidoglio, serve un senso comune
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La vicenda del compenso di 193mila euro lordi previsto per il capo di gabinetto del Comune di Roma ha generato giustamente una serie di interrogativi. Nel ragionare sul problema, occorre mettere in evidenza vari profili, fra loro intrecciati, distinguendo gli argomenti di politique politicienne da quelli di equilibrio dei poteri e di etica pubblica.  Anzitutto un dato ineludibile: non può non generare sorpresa che il Movimento 5 Stelle, che ha fatto della riduzione dei costi delle istituzioni una delle sue bandiere, oltre a opporsi con toni apocalittici a una riforma costituzionale che, fra l’altro, realizzerebbe quanto esso ha a lungo richiesto (riducendo i parlamentari elettivi da 945 a 725: 630 deputati e 95 senatori), decida di pagare un capo di gabinetto di un Comune con un salario superiore a quello del Presidente del Consiglio dei ministri. Davvero ci si può meravigliare che gli avversari politici del M5S di questo movimento abbiano sfruttato questo episodio? Davvero esso non fa problema a chi ne condivide le finalità politiche? Tuttavia ci si può fermare a questo aspetto del problema solo se si crede che la questione dei costi delle istituzioni sia un’invenzione pubblicistica, sfruttata politicamente da Grillo e dai suoi. La questione, invece, esiste eccome e per questo non può essere lasciata cadere, anche se deve essere situata in una prospettiva più ampia. Si tratta di ragionare sui livelli retributivi dei più alti funzionari pubblici e sui meccanismi di cumulo o di trascinamento che sono stati costruiti negli anni per tutta la pubblica amministrazione. Molte questioni dovrebbero essere esaminate, ma una domanda semplice può essere posta: in virtù di quale ragione esistono retribuzioni pubbliche superiori a quella del Presidente del Consiglio dei ministri? Sembra invece ragionevole che, con l’eccezione del Capo dello Stato (per il quale è costituzionalmente previsto un assegno ad hoc) quel livello retributivo dovrebbe essere un parametro rigido, non superabile da nessuna retribuzione a carico del bilancio pubblico. In questo contesto, un cenno a parte può essere dedicato a un profilo che emerge dalla vicenda romana da cui queste righe prendono spunto. La retribuzione di 193.000 euro (equivalente grosso modo alla retribuzione del presidente francese) per il capo di gabinetto del Sindaco di Roma è stata giustificata con il fatto che la persona destinata a coprire tale ruolo sarebbe un magistrato a fine carriera, che avrebbe uno stipendio lordo di 170.000 euro, cui verrebbe aggiunto dell’argent de poche per consentirle di pagarsi l’albergo a Roma e alcuni viaggi. La persona che dovrebbe ricoprire l’incarico in questione ha affermato che non intende «fare beneficenza», ma che vuole mantenere il suo livello di reddito, equivalente a quello che spetta a tutti coloro che sono entrati in Magistratura nel 1981 e ha sostenuto che chi criticasse tale livello starebbe attaccando il Terzo potere. Un ragionamento in cui emergono alcuni cortocircuiti inaccettabili. In primo luogo, anche da questo punto di vista, bisognerebbe spiegare in virtù di quale ratio un magistrato in carriera dal 1981 guadagni più del Presidente del Consiglio: e si aprirebbe allora un complesso discorso sui livelli retributivi dei magistrati italiani, i quali, soprattutto a fine carriera, guadagnano troppo, senza che tali livelli retributivi dipendano dalla qualità delle loro prestazioni (cioè dal merito). Ma non vi è solo questo problema: emerge qui, infatti, un altro totem del sistema retributivo pubblico, vale a dire il cosiddetto 'galleggiamento'. Se un funzionario accetta di lasciare temporaneamente la funzione che gli spetta per svolgerne un’altra, cui corrisponde un livello retributivo minore, per quale ragione – se non la conservazione di un privilegio – dovrebbe mantenere il reddito precedente, invece di guadagnare come gli altri che fanno quel lavoro? Perché il capo di gabinetto del Comune di Roma dovrebbe guadagnare 193.000 euro e quello del Comune di Torino 63.000?  È ovvio che si tratta di un tema assai complesso. Mentre, nell’immediato, sembrano imporsi scelte di autocontenimento e sobrietà per gli enti locali (specie per quelli che – come nel caso di Roma – offrono a tutt’oggi pessime prestazioni ai loro cittadini), la questione è il tema adatto per il lavoro di una Commissione parlamentare di inchiesta, che dovrebbe svolgere un’analisi completa di principi e criteri retributivi, dando la massima trasparenza alle retribuzioni esistenti e individuando alcuni paletti, non derogabili per nessuna ragione.
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