giovedì 10 marzo 2016
Il cantautore per la prima volta visita il lager simbolo della Shoah col vescovo di Bologna e alcuni studenti. Un poeta ad Auschwitz (Adorno ha torto). (Ferdinando Camon)
Guccini con il vescovo Zuppi ad Auschwitz
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Venerdì avverrà un fatto che Theodor W. Adorno riteneva impossibile: un poeta (o cantante, che è lo stesso), che ha scritto una poesia (o una canzone, che è lo stesso) su Auschwitz, andrà a visitare Auschwitz. Si tratta di Francesco Guccini. Parte oggi in treno, da Milano, dal binario 21, quello da cui partivano i treni degli ebrei. Ci va insieme con un vescovo, Matteo Maria Zuppi che è padre nella Chiesa di Bologna, e con una classe di seconda media. Dunque, la poesia, la fede e l’innocenza entrano in Auschwitz. La domanda non è: 'Possono capirsi?', ma è: 'Possono accettarsi?'. Parlando di un incontro tra poesia e Auschwitz, Adorno lo definiva impossibile, tanto da scrivere: «Dopo Auschwitz, scrivere una poesia sarà un gesto di barbarie». A me la citazione fu fornita la prima volta da Franco Fortini, ebreo, con un’interpretazione che la rendeva accettabile, e cioè: dopo Auschwitz, tutto quello che facciamo noi umani, anzitutto scrivere poesie, non potrà più essere come prima, ma dovrà tener conto che c’è stato Auschwitz. Auschwitz cambia tutto. Cambia la storia, l’uomo, la parola. Andare ad Auschwitz significa andare nel centro da cui è partito il cambiamento, il punto dov’è morta la vecchia storia e da cui parte una nuova storia. Nessun uomo doveva uscire dal secolo scorso senza essere stato ad Auschwitz, e nessun italiano senza aver letto 'I sommersi e i salvati'. Io, cattolico, sono andato a parlare con Primo Levi, ebreo, per una breve conversazione, che ora esiste in francese, spagnolo, tedesco, inglese…, perché provavo verso Levi un senso di vergogna: andando da lui, andavo a Canossa. Critici italiani e stranieri m’han chiesto perché. Ho risposto: «Perché sono uomo». Quel che è avvenuto ad Auschwitz, l’han fatto gli uomini, e ogni uomo deve vergognarsene, per il semplice fatto di appartenere all’umanità. Auschwitz fu liberato dall’Armata Rossa. Quel giorno Primo Levi era ad Auschwitz 1, in cortile, stava seppellendo un amico, e vide arrivare sulla strada (che lì è più alta del campo) quattro soldati russi a cavallo, col mitra a tracolla: fermi, alti, guardavano il campo, pieno di cadaveri e di malati, senza dire una parola, bloccati da un senso di vergogna: loro non c’entravano niente con quell’abominio, ma non pensavano che l’umanità fosse capace di tanto, scoprivano che ne era stata capace, e se ne vergognavano.  Oggi Guccini, e il vescovo di Bologna, e una seconda media, vanno nel luogo della vergogna umana. Il problema è Guccini, che ci va da cantautore. La maledizione di Adorno è contro di lui. Ha ragione Adorno? Ha torto Guccini? Guccini è un barbaro? Partendo, Guccini dice: «Non so cosa proverò». Non c’è mai stato prima d’ora. Ha scritto una canzone, che vive ancora, ma l’ha scritta sull’emozione di ciò che aveva letto. Ho qui quella canzone-poesia, ed è sulla base di queste parole che si può dire se il cantautore è un barbaro o un uomo. Come lo stesso Adorno si rendeva conto più tardi, 17 anni dopo, la poesia è parola, e la parola per l’uomo è insopprimibile, affermare che l’uomo, che vede l’orrore, non può parlare, è come affermare che l’uomo che patisce l’orrore non può urlare. In realtà, l’uomo che lo patisce non può fare altro, e il poeta che lo vede non può parlare d’altro. Se parla d’altro, è un barbaro, se parla di quello, è un uomo. Deve parlare di quello anche quando parla d’altro.  La poesia-canzone di Guccini non è un urlo, è un pianto. Comincia così: «Son morto con altri cento / son morto ch’ero bambino / passato per il camino / e adesso sono nel vento / e adesso sono nel vento». La parola 'bambino' è tenue, la tragedia non ha bisogno di un bambino per essere una tragedia immane, e adesso Guccini lo capirà, vedendo. La canzone è poco tragica all’inizio, forse troppo poco, molto disperata alla fine, forse troppo. Ma quell’«essere nel vento», leitmotiv di tutta la canzone, è perfetto. Auschwitz-Birkenau è in pianura, il vento la spazza sempre. Lì son morti non a centinaia, ma a centinaia di migliaia. Nel vento li senti passarti accanto, così tanti che sono dappertutto. Se li senti una volta, li sentirai sempre. Loro vogliono che tu li senta, e lo dica a tutti. E quel che loro vogliono è giusto. Adorno ha torto.
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