martedì 26 aprile 2016
Essenziali per chi soffre della malattia, le diete «gluten free» non forniscono alcun vantaggio specifico alle persone sane. E sull’aumento dei casi nessuna certezza. (Vittorio A. Sironi)
Cibi «senza glutine»: necessità o moda costosa?
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Glluten free: privi di glutine. È l’ultima frontiera del business alimentare. Necessità o moda? Essenziali per chi soffre di celiachia, i cibi e le diete senza glutine non forniscono alcun vantaggio particolare alle persone sane. In questo caso 'fanno bene' e portano vantaggi (economici, dato il loro elevato costo) solo a chi li produce. La celiachia, detta anche morbo celiaco, è una malattia dell’intestino tenue dovuta a una reazione infiammatoria autoimmune causata dall’esposizione alla gliadina, una particolare proteina presente nelle farine di frumento e di altri cereali, come l’orzo, la segale e l’avena, l’orzo, il kamut. Ingredienti con cui si realizzano numerosi tra i più diffusi alimenti: pane, pasta, pizza, biscotti, torte. La malattia si manifesta con gonfiore e dolori addominali associati a diarrea cronica caratterizzata da feci abbondanti, pallide e maleodoranti. I primi sintomi possono comparire già durante lo svezzamento, provocando un ritardo di crescita nei bambini che ne sono affetti. Negli adulti questi disturbi causano anche dimagrimento, anemia e astenia, perché le alterazioni della mucosa intestinale (atrofia dei villi) dovute alla reazione infiammatoria legata alla celiachia – se la malattia viene riconosciuta tardivamente – determinano un grave malassorbimento di molti nutrienti, cioè una diminuzione della capacità dell’organismo di assorbire e utilizzare i carboidrati, i grassi, il calcio e alcune vitamine (A, D, E, K) indispensabili per la buona salute. l termine 'celiachia' (dalla parola greca kailiakos, 'addominale') è stato introdotto in medicina solo a metà del XIX secolo, anche se la malattia è nota sin dall’antichità. La prima descrizione si deve al medico greco Aretèo di Cappadocia, vissuto a Roma alla fine del II secolo d.C. Originario di quella regione mediorientale compresa tra i fiumi Nilo, Giordano, Tigri ed Eufrate nota come 'mezzaluna fertile', egli aveva qui osservato l’esistenza di un disturbo assai invalidante caratterizzato da diarrea continua, che aveva chiamato 'malattia dell’intestino' o 'celiaca'. Proprio in quest’area l’uomo aveva iniziato nel neolitico – circa 10 mila anni fa – la coltivazione dei cereali. Prima di quella data la celiachia non esisteva. Solo dopo l’inizio da parte del genere umano di un’alimentazione a base di cereali aveva potuto manifestarsi ed essere quindi notata, alcuni secoli dopo, dal medico greco. Celiaci si nasce o si diventa? All’origine della malattia vi sono fattori genetici e cause ambientali. Perché il glutine (elemento ambientale), una volta ingerito, danneggi la mucosa intestinale è necessario che il soggetto abbia una predisposizione genetica (fattore interno). In questa malattia dunque la componente genetica è fondamentale, ma non è sufficiente per svilupparla. Se non si assumessero cibi contenenti il glutine, la celiachia non darebbe manifestazioni cliniche. D’altro canto i meccanismi precisi che conducono alla perdita irreversibile della tolleranza al glutine non sono ancora noti. Un assetto genetico particolare predisponente all’intolleranza per questa proteina è presente in circa il 30 per cento della popolazione, ma solo il 3 per cento si ammala di celiachia. Si eredita dunque la predisposizione, non la malattia. ggi la diagnosi è semplice. Sono sufficienti alcuni esami specifici del sangue e, nei casi dubbi, una colonscopia durante la quale vengono effettuati alcuni prelievi bioptici della mucosa intestinale in modo da potere poi verificare al microscopio se sono presenti le alterazioni tissutali tipiche della celiachia.  L’importante, in presenza di disturbi intestinali cronici, è tenere in considerazione la possibilità di essere affetti da questa patologia, in modo da poterla confermare o smentire attraverso l’esecuzione delle indagini prima ricordate. La certezza diagnostica è fondamentale, perché se la malattia c’è si può curare in un solo modo: eliminando totalmente dalla propria alimentazione tutti i cibi che contengono glutine. In questa maniera, nel giro di poco tempo, tutti i disturbi scompaiono e anche le lesioni della mucosa intestinale tendono a regredire rapidamente. La dieta priva di glutine deve essere molto rigorosa e deve essere seguita scrupolosamente per tutta la vita, perché basta l’assunzione anche di minime quantità di questa proteina per impedire il miglioramento clinico e istologico della celiachia. A questo proposito è importante sapere che il marchio 'senza glutine' che caratterizza molti prodotti alimentari (come già detto non specificatamente indirizzati solo ai celiaci e assai più costosi di quelli normali) viene apposto facendo riferimento a regolamentazioni che variano notevolmente da nazione a nazione. A livello internazionale si autorizza l’applicazione di questa dicitura solo ai prodotti che contengono meno di 20 ppm (parti per milione) di glutine. Dal punto di vista epidemiologico nei Paesi occidentali si stima che la celiachia interessi poco più dell’1 per cento della popolazione generale, è più frequente tra le donne (3 volte di più che negli uomini) ed è diffusa soprattutto in Europa e negli Stati Uniti. Negli ultimi 25 anni l’incidenza della malattia è aumentata di cinque volte, soprattutto in età pediatrica. Ha incominciato a fare la sua comparsa anche nel Nord Africa e in Asia, sia pure limitatamente all’area della cosiddetta 'cintura celiaca', la zona settentrionale dell’India dove la tradizionale coltivazione del riso è stata massicciamente sostituita dalla coltivazione – e dal relativo consumo – di grano. In tutto il mondo il numero dei malati celiaci è stimato tra i 5 e gli 8 milioni. Siamo dunque di fronte a una 'epidemia' di celiachia? Non proprio. L’aumento della frequenza di questa malattia è in realtà legato da un lato alla maggior facilità oggi di giungere a una diagnosi certa (in passato molti casi non venivano diagnosticati) e dall’altro al cambiamento delle abitudini alimentari di molti Paesi che hanno iniziato a cibarsi in modo crescente con prodotti a base di cereali. Secondo i più recenti dati del ministero della Salute, in Italia vi sarebbero quasi 600mila casi di celiachia, ma solo meno di un terzo (nel 2015 si contavano circa 165mila celiaci) sono quelli realmente diagnosticati. Moltissimi sono dunque i malati inconsapevoli della loro reale condizione patologica. Ogni anno il 10 per cento di questi 'casi occulti' viene alla luce grazie a una corretta diagnosi e questo determina, anche nel nostro Paese, un aumento dei malati, per i quali vi è una crescente attenzione da parte di associazioni dedicate e una maggiore tutela medica degli organismi sanitari. Accanto alla forma classica di celiachia, ormai ben conosciuta e facilmente diagnosticabile, esiste anche una categoria di persone che hanno solo una gluten sensitivity, cioè una 'sensibilità al glutine' più sfumata, con una gamma quantitativamente variabile di disturbi legati all’assunzione di cibi che lo contengono: da condizioni assai simili a quelle della vera intolleranza – con sintomi sovrapponili al quadro clinico della malattia celiaca – a situazioni che si manifestano con più modesti segni di generica irritabilità intestinale, talvolta non immediatamente correlabili con la ridotta capacità di metabolizzare questa proteina. Secondo alcuni studiosi, questa forma di particolare sensibilizzazione potrebbe essere correlata all’uso di farine troppo raffinate (come la farina bianca tipo 0 o doppio 0), che si ottengono privando il prodotto della macinazione dei cereali di alcuni componenti (crusca, cruschello) e impoverendolo di altri (sali minerali e diverse vitamine). Ne guadagnano l’aspetto e il gusto, ma si perdono utili proprietà nutrizionali e salutari. Non sempre ciò che sollecita positivamente i nostri sensi è buono e utile per la nostra salute. (Fine - le precedenti puntate sono state pubblicate il 9 e 17 febbraio, l’11 marzo e il 5 aprile).
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