giovedì 3 settembre 2015
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Ci sono epoche in cui la Storia fa un’inversione a U. Una fu il Fascismo, che Benedetto Croce interpreta come una malattia: un corpo che prima era sano s’è ammalato, deve guarire senza che della malattia resti traccia. Un’altra fu il Nazismo, il cui simbolo sta nei campi di Sterminio. Altre ancora hanno avuto come simboli i Gulag, i desaparecidos, i genocidi.  I popoli che compiono queste inversioni della Storia tendono a nasconderle, non vogliono che siano viste e che ne resti memoria. Perciò si chiudono. L’Europa sta entrando in un’epoca che si può chiamare dei muri, in cui chi sta da una parte non deve entrare nell’altra.  'Muri', li chiamano dappertutto così, anche se non si tratta sempre di costruzioni in muratura, a volte sono in filo spinato, e a volte sono muri burocratici: i confini sono vigilati, non ti fanno passare, se passi ti sparano. I regimi che si chiudono hanno qualcosa da nascondere. Noi europei ricordiamo come tipico regime che voleva nascondersi quello della Germania Est: arrivavi a Berlino Ovest con tutti i permessi in regola, volevi passare di là (io volevo incontrare il mio traduttore della Germania Est, è un reato?), ti facevano scendere dall’auto e la controllavano sotto i sedili, dentro il bagagliaio, sotto la ruota di scorta, dappertutto. Il confine non era una linea, era una striscia, larga un’ottantina di metri.  Dall’inizio alla fine di quella striscia correva un tapis roulant, a un metro da terra. Su quel tapis ponevano il tuo passaporto. Tu dovevi seguirlo in auto, col motore al minimo, senza perderlo di vista. Al termine della striscia, un altro controllo, più severo del primo. Ti parlavano in tedesco, non sapevano francese o inglese, e non ammettevano che tu non capissi. Era il tempo del Muro. Alto, invalicabile, massiccio. Sulla parete ovest, istoriato di scritte, proteste, richiami.  Resta 'il' muro per eccellenza. Per scavalcarlo, bisognava arrivare con una scala, appoggiarla, salirvi in cima, e buttarsi giù dall’altra parte. Fin che eri dritto in cima, eri un bersaglio facile, molti son caduti di qua ma morti. Veniva chiamato 'il muro della vergogna'. Chi l’aveva eretto, si vergognava di sé e non voleva essere visto. La Storia che ha fatto quel muro ha fallito, e io credo che abbia fallito proprio per questo: era una vergogna, e lo sapeva. Adesso i muri sono di filo spinato, e li stanno costruendo l’Ungheria e la Bulgaria, e l’Estonia si prepara a imitarle. Il filo spinato ha dei vantaggi e degli svantaggi. Svantaggi: non ti nasconde, il mondo vede quello che fai. Vantaggi: costa poco e si fa in fretta. Sostanzialmente, si tratta di srotolare lungo il tragitto il filo spinato, che è costruito a matasse. Dove finisce una, agganci l’altra. Queste matasse sono alte circa un metro, ma puoi deporle una sopra l’altra, agganciandole, e arrivare così ai quattro metri d’altezza previsti. Per oltrepassarle, la linea più facile è rasoterra: uno tiene alzata la matassa con qualche rampino, e l’altro passa strisciando. Ma ecco il vantaggio per le guardie: il filo spinato non nasconde, le guardie che passano continuamente in jeep ti vedono da lontano e ti sparano. Dove ci possono stare guardie, il filo spinato è più vantaggioso. Dove le guardie sono impossibili, è meglio il muro. La Grande Muraglia si spiega così. A rigore di logica (militare), il filo spinato ha il suo completamento nelle mine: negli ultimi dieci metri davanti alla rete sotterri le mine, secondo uno schema che solo tu conosci, e che ti servirà per bonificare il campo quando verrà il momento. Il filo spinato da solo dice: «Non ti voglio, se vieni qui ti fermo». Il filo spinato con le mine dice: «Ti odio, se vieni qui t’ammazzo». Il primo tradisce il principio su cui è nata l’Europa (creare nuovi beni e distribuirli). Il secondo tradisce il principio su cui vive l’umanità (camminare insieme lungo la vita, parlandosi).
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