martedì 27 gennaio 2015
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Come era stato previsto da molti osservatori, e nonostante le dimensioni massicce, la vittoria di Tsipras alle elezioni politiche greche non ha fatto crollare le Borse mondiali né affossato l’euro sul mercato dei cambi. Viceversa, il suo effetto sulla politica europea potrebbe essere molto superiore alle attese. La richiesta di rinegoziare il debito del suo Paese, a cominciare dalla rimodulazione dei tempi della restituzione, viene infatti da un leader e da un partito che non hanno partecipato all’assalto alla diligenza del debito pubblico che nei decenni scorsi aveva ridotto la Grecia allo status di un debitore fallito nelle mani dei suoi esosi creditori. Questa nuova dirigenza greca può cioè andare a Bruxelles (e a Berlino) a discutere non solo forte del successo elettorale ma anche libera dai doveri di solidarietà verso qualcuno di quei 'padri nobili', eppure corresponsabili del saccheggio delle finanze pubbliche, che invece rappresenta un vincolo e un problema di credibilità per altri, più timidi, innovatori. Alle sue spalle, peraltro, Tsipras ha un Paese al quale la 'cura' europea ha finito coll’infliggere il colpo di grazia. A chi ancora ha il coraggio di andare in giro parlando di 'salvataggio della Grecia', consigliamo di andare a leggersi l’editoriale di Paul Krugman pubblicato ieri sul New York Times.  Così forse potrà ricordare di come quel piano che ha privato dei servizi sociali minimi (sanità, luce, acqua, gas) e del lavoro milioni di persone è consistito piuttosto, secondo la puntuale ricostruzione di Krugman, nel salvataggio delle banche europee a spese dei greci... Vedremo nelle prossime settimane che cosa farà Tsipras (nel frattempo alleatosi con la destra moderata ma critica verso l’Europa), se nei rapporti con l’Unione e con i partner prevarrà lo scenario del 'muro contro muro' o se invece si cercherà una mediazione vantaggiosa per tutti. Quel che è certo è che dal voto di domenica la democrazia in Europa esce per molti versi rinfrancata: non tanto (o non solo) per i punti programmatici enunciati nel programma dei Syriza, ma perché quei milioni di cittadini che non si sentono rappresentati da una dialettica parlamentare in cui è impossibile capire le differenze tra un partito di centrodestra e uno di centrosinistra possono ritrovare la fiducia nel funzionamento della democrazia rappresentativa. La parola 'cambiamento' – la più inflazionata di questa stagione – acquista col risultato di Atene una prospettiva più 'radicale': non nei termini di un suo maggiore estremismo, ma in quelli di una minor propensione al tartufismo, al trasformismo, al gattopardismo. Il fenomeno Tsipras, almeno per i suoi aspetti sociali (altri risultando più problematici), lascia sperare che 'un’altra Europa' – più giusta, più solidale, maggiormente al servizio dei suoi cittadini – sia effettivamente possibile. Il suo successo non è quello di un partito 'antisistema', quanto piuttosto quello di chi quel sistema intende modificare, anche radicalmente, ma non abbatterlo. Tornano così a circolare, nelle piazze e nelle teste delle persone e non solo nelle convention markettare, idee diverse sul futuro dell’Europa, che si confrontano alla ricerca del consenso degli elettori.  Difficile non pensare che quanto avvenuto in Grecia non dia coraggio a tutti quanti chiedono che anche le decisioni relative alla moneta unica, prospettate in difesa di quella che continuiamo a considerare un’importante conquista, possano e debbano, come ogni altra decisione politica, guadagnarsi il consenso della maggioranza dei cittadini, cioè dei detentori della sovranità popolare. Del resto, che cosa attesta la necessità di una riforma non di facciata del sistema europeo meglio del crescente successo che arride un po’ ovunque ai partiti cosiddetti 'antisistema'?
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