sabato 5 gennaio 2013
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C’è qualcosa di sbagliato nelle carce­ri italiane. Terribilmente e dram­maticamente sbagliato. Uno sbaglio che conduce alcuni non alla redenzione e al­la libertà, ma alla scelta di morire. L’ec­cessiva attesa del giudizio e le celle so­vraffollate sono problemi gravi e noti. E lo sbaglio, denunciato da cifre sottolineate in rosso, ne è in parte sia la causa sia l’ef­fetto.
Da un lato investiamo tantissimo, 3.511 euro al mese per ogni detenuto. «Inve­stiamo », non «spendiamo». È denaro no­stro, di noi contribuenti, che ha come fi­ne la restituzione alla società di uomini capaci di chiudere con il passato, dopo a­ver pagato per il loro errore, e a dare il pro­prio contributo al bene comune. Italiani non più da temere ma su cui poter conta­re. Quei 3.511 euro sono tanti davvero, se si pensa che più di noi, tra i Paesi mag­giormente sviluppati, investono soltanto Regno Unito, Nuova Zelanda e Canada. Tutti gli altri di meno. Gli Stati Uniti, con la loro popolazione carceraria stermina­ta, arrivano ad 'appena' 1.433 euro.
Dall’altro lato, quasi in nessun Paese si muore in carcere come in Italia. Si muore di disperazione. Ci si ammazza. Ogni an­no si tolgono la vita 9,1 carcerati ogni 10mila. Tanti o pochi? Gli italiani liberi che si suicidano sono 1,2 ogni 10mila. Dun­que il rapporto è di 1,2 a 9,1. In Germania è di 2,5 a 5,5, in Gran Bretagna 1,6 a 8,8. O­gni suicidio è una tragedia di troppo; ma nel nostro Paese i suicidi fuori dalle sbar­re sono sensibilmente di meno rispetto al­l’estero; e quelli dietro le sbarre sensibil­mente di più. Perché? E perché ciò accade nonostante tanto denaro investito?
Qualcuno potrà obiettare: sì, è una trage­dia, ma una tragedia 'minoritaria', che ri­guarda una porzione limitata di umanità; e molti carcerati non sono nemmeno ita­liani. I veri problemi sono altri... Obiezio­ne respinta. Da che cosa si misura il 'tas­so d’umanità' di una nazione? Da come vengono trattate le donne, si dice giusta­mente; dallo spazio che trovano nel mon­do del lavoro e in politica, dalla possibilità di costruire una famiglia e avere tutti i fi­gli che desiderano ed essere aiutate (e non solo dal marito) nell’assisterli ed educar­li. Giusto. Si dice anche: da come vengo­no trattati bambini, anziani, infermi e di­sabili. Insomma i 'meno forti' e autono­mi. Giustissimo. Infatti, in genere, i pro­grammi elettorali si occupano di loro, an­che se mai abbastanza e sempre con ri­trosia ed eccesso di parsimonia, a volte – è un sospetto legittimo – quasi o solo per retorica elettorale.
Ma c’è qualcosa che, per ora, non riuscia­mo a ritrovare nei programmi dei partiti. È bello ricordarlo con le parole, remote ed autorevoli, di Fëdor Dostoevskij: «Il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni». È troppo, allora, chie­dere e perfino pretendere che nelle pros­sime settimane i candidati si assumano precisi impegni per rendere meno infer­nali le nostre carceri? Per trovare pene al­ternative alla cella, come quelle che sono state fatte naufragare pochi giorni fa in Parlamento? Per far diminuire quell’osceno spread, quella voragine tra suicidi fuori e sui­cidi dietro le sbarre? Non tan­to per investire meno di quei 3.511 euro a testa, ma per far­li fruttare sul serio?
Parlatene. Senza chieder­vi se la cosa può portare o togliere voti. Se 'con­viene' o no. Parlatene per un solo, semplice motivo: perché è giusto farlo. ​
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