sabato 14 novembre 2015
​Dopo la denuncia dell'Onu sull'operazione di "pulizia" delle favelas, le associazioni di volontariato cercano di attirare l'attenzione sulla condizione dei bambini nella "città meravigliosa". E organizzano le pre-Olimpiadi dei ragazzi. Lucia Capuzzi
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Per mettere il mondo davanti alla loro realtà, hanno scelto lo stesso evento per il quale la polizia di Rio de Janeiro vorrebbe farli sparire: le Olimpiadi. La scelta delle discipline è stata ampia anche se non proprio canonica. Si va dai classici calcio e corsa agli innovativi scacchi e dama. Del resto, nonostante il logo rigoroso, si percepisce subito che quelle celebrate ieri a Rio sono pre-Olimpiadi 'stravaganti'.  Basta leggere la lista dei partecipanti: tutti sotto i 24 anni. I più piccoli ne avevano sei. E, a parte qualche broncio, vincitori e sconfitti hanno celebrato con la stessa esultanza. I n fondo, le Pre Olimpiadi dell’Infanzia – organizzate dall’associazione São Martinho e dalla Red Rio Criança – non dovevano essere una gara, bensì una grande festa. Un omaggio agli abitanti più invisibili della Cidade Maravilhosa, tornati di recente sotto i riflettori internazionali in seguito alla denuncia delle Nazioni Unite del 9 ottobre scorso. Allora il mondo ha (ri)scoperto i ' meninos da rua' (bambini di strada), vittime – secondo il comitato di esperti delle Nazioni Unite – di una sorta di 'pulizia sociale' da parte di autorità e squadroni della morte in vista dei Giochi del 2016. Gruppi legali e illegali cercano di far scomparire bimbi e ragazzi senza fissa dimora dal centro, per non 'urtare' la sensibilità dell’atteso flusso di turisti. Questi, però, esistono e resistono. E con le loro 'Pre Olimpiadi', organizzate proprio nel cuore dell’elegante zona Sud, a Flamengo, hanno voluto gridare tale presenza. Il 'bastione' dei meninos, in realtà, è poco più in là, nel quartiere storico di Lapa. Dove non a caso, trent’anni fa, è nata, grazie al contributo dei carmelitani, l’associazione São Martinho, la principale nell’assistenza all’infanzia senza casa.  Almeno 300 ragazzini, ogni sei mesi, sono coinvolti nei progetti dell’organizzazione. Circa la metà di questi, raccontano, a bassa voce, di aver subito aggressioni e violenze da parte della polizia. «Si tratta di differenti tipi di angherie, dall’arresto arbitrario al pestaggio. Non si tratta, purtroppo, di un fenomeno nuovo. Stiamo, però, notando, nel quotidiano, un aumento dei soprusi», spiega ad Avvenire Valdinei Martins, responsabile dei progetti sociali della São Martinho, confermando le accuse dell’Onu. Non esistono dati certi, né potrebbe essere diversamente. I bimbi di strada hanno troppa paura per sporgere denuncia. Solo chi lavora con e per loro, dunque, ha il polso reale della situazione.  Uno dei momenti cruciali è stata, quasi due anni fa, l’avvio dell’operazione ' Lapa presente' da parte dell’amministrazione municipale. Sulla carta, il progetto prevedeva una serie di misure per 'riqualificare' la zona. Nella pratica, però, si è tradotto in un aumento della pressione sul 'popolo della strada'. In particolare sui minori. «Il fatto è che la società è diventata molto più violenta. Per una serie di fattori: la recessione, il rischio della nuova classe media di scivolare ancora una volta nella povertà, la frustrazione dopo il boom – aggiunge Martins –. I ragazzini poveri e sbandati sono il capro espiatorio perfetto». La maggior parte di quelli che dormono sui marciapiedi di Rio vengono dalle favelas, in fuga spesso da situazioni familiari difficili, esacerbate dall’emarginazione. «Segno che le favelas sono ancora 'mondi a parte', rispetto all’asfalto, come chiamiamo il resto della città», dice Martins. Il piano di pacificazione delle baraccopoli di Rio, iniziato nel 2008, ha funzionato solo in parte. I servizi promessi – migliori scuole, ospedale, centri sociali – sono rimasti, spesso, un’utopia. I maggiori investimenti si sono concentrati sulla sicurezza. Con effetti 'imprevisti'. Man mano che la polizia 'riconquistava' gli slum della turistica zona sud – vicina agli stadi dei Mondiali e agli impianti olimpici – i tre principali gruppi criminali, in perenne lotta fra loro – Comando Vermelho, Terceiro Comando e Amigos dos Amigos – espulsi, sono migrati verso nord, l’area industriale, e la Baixada, la popolosa cintura urbana. «Non a caso, qua la violenza si è fatta quotidiana e feroce – racconta don Renato Chiera, missionario italiano da decenni residente nella Baixada, dove ha creato la Casa do Menor –. Il 2 novembre, ho fatto la solita celebrazione al cimitero. Mi hanno chiesto di ricordare 56 adolescenti ammazzati nelle ultime settimane negli scontri fra bande». Non si tratta in questo caso, di meninos da rua bensì di baby-narcos. E questa è l’altra faccia di una medesima medaglia, l’emergenza infanzia. Don Renato parla, con tono preoccupato, di «genocidio». «L'omicidio è la prima causa di morte di giovani e giovanissimi in Brasile. Oltre la metà dei quasi 60mila assassinati nell’ultimo anno, avevano tra 15 e 29 anni. La maggior parte erano neri, poveri, con un basso livello di istruzione – afferma la senatrice Lidice da Mata, presidente della commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno –. Tra il 1980 e il 2013, il numero di adolescenti uccisi è cresciuto del 640 per cento». Solo tra il 2006 e il 2012, ne sono stati ammazzati oltre 33.500. Negli ultimi due anni, in media, vengono uccisi 10 ragazzini al giorno. Il perché riguarda l’evoluzione del panorama criminale e della figura stessa dei meninos da rua. Nessuno sa quanti siano realmente questi ultimi. L’Onu parla di 150 milioni di bimbi senza fissa dimora nel mondo. In tutto il Brasile, le Ong stimano, per difetto, una cifra intorno ai 22-24mila. A Rio si parla di diverse centinaia, forse un migliaio. Numeri, comunque, di gran lunga inferiori rispetto agli anni Novanta. La ragione è duplice. Da una parte, il Paese ha fatto indubbiamente enormi progressi sociali. Dall’altra, però – e questo spiega la strage – i meninos emarginati vengono tolti dalla strada dai gruppi criminali, la cui espansione è evidente. Nel giro di cinque anni, il crack ha invaso il Brasile. I narcos – legati spesso ai grandi cartelli della droga messicani – si sono rafforzati e hanno incrementato il reclutamento dei minori, impiegati come 'carne da cannone' negli scontri con le bande nemiche. Solo a Rio, l’esercito dei baby criminali sfiora quota 50mila. Da qui, la drammatica equazione tra ragazzino povero e 'delinquente'. L’aumento dell’intolleranza nei confronti dei minori emarginati spiega la campagna per la riduzione a 16 anni dell’età per essere processati e condannati come adulti. «Misure inutili, oltre che dannose – spiega Cristiano Morsolin, educatore di strada prima nelle periferie d’Italia e, dal 2001, in America Latina –. La giusta direzione è quella di investire sul sociale. Il Brasile lo ha messo in pratica in 20 anni e, facendo proprie le buone pratiche della società civile, ha ridotto l’emarginazione infantile. È un processo lungo. Lo Stato, però, deve proseguire su questa strada, senza cedere a pericolose scorciatoie nell’illusione di avere 'sicurezza subito'». Morsolin, insieme a 74 esperti internazionali, è il promotore di una lettera aperta all’Onu in cui vengono elencate una serie di misure, testate sul campo dagli operatori sociali, per aiutare l’infanzia abbandonata. «A partire proprio dal nostro documento, ora, le Nazioni Unite stanno elaborando un rapporto che sarà pronto fra due anni», dice Morsolin.  A quel punto, le Olimpiadi di Rio saranno già archiviate. «Speriamo solo – conclude Martins – che i meninos da rua non tornino ad essere invisibili. Che quanti vengano per i Giochi abbiano il coraggio di guardare la città reale. E che la pressione internazionale costringa le autorità a prendere decisioni giuste».
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