giovedì 8 gennaio 2015
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Si stanno moltiplicando gli appelli che invitano a testimoniare solidarietà a papa Francesco a fronte degli attacchi più o meno velati ricevuti dal Pontefice. Confesso che queste iniziative non mi convincono del tutto. Non mi sembrano in grado di cogliere la novità che questo Papa sta regalando al cammino di una Chiesa immersa nel mondo, nel solco del Concilio. Quella di Francesco è una novità insieme semplice e radicale: testimoniare il Vangelo sine glossa. Testimoniare il Vangelo che rimette al centro le Beatitudini. Testimoniare il Vangelo che ci fa discepoli di un Gesù che «da ricco che era, si è fatto povero». Sta nel Vangelo l’appello a capovolgere la prospettiva, a mettere al centro i poveri come categoria teologica, a guardare la storia dal punto di vista delle vittime e a fare scelte personali coerenti con questa nuova prospettiva. Sta nel Vangelo il superamento di una carità di mero aiuto e l’idea di una Chiesa che non solo soccorre i poveri, ma essa stessa si fa povera. La scelta del Papa di prendere il nome di Francesco è eloquente. Il suo è un linguaggio nuovo, straordinariamente semplice e coinvolgente, che proclama e difende la verità, ma si affida allo Spirito Santo, che è essenzialmente Spirito di carità. Ne scaturisce la visione di un cristianesimo di pace, ispirato a fraternità, solidarietà, misericordia e perdono. Francesco dà voce e volto a una Chiesa povera che si alleggerisce delle insegne di potere e ricchezza, cominciando da chi porta maggiori responsabilità.  È questa testimonianza 'mistica e spirituale', che ci chiede di consacrarci all’ascolto dei poveri, di impegnarci per contrastare le tante schiavitù ancora esistenti, di restituire speranza là dove c’è abbandono, di credere possibile un mondo giusto e ospitale. Papa Francesco chiede una Chiesa che non si riempie di opere di carità per rafforzare la propria identità, ma che si fa trascinare dalla carità sorprendendo per lo stile di povertà e per la gratuità di questa carità. È quanto già Paolo VI suggeriva nell’Evangelii Nuntiandi (n. 21). È quanto disse il cardinal Carlo Maria Martini immaginando la 'Casa della carità' milanese e auspicando una Chiesa «monastero» che vuole vivere nella foresteria del mondo. È una prospettiva, questa, non certo priva di implicazioni politiche, che ha la sua motivazione nell’invito «Convertitevi e credete nel Vangelo»: essere discepoli di Gesù deve spingerci verso una spiritualità che non fugge dal mondo, ma che vi si immerge per diventare un «laboratorio di umanità condivisa». È il cammino della Chiesa delle origini, quella che sempre il cardinal Martini chiamava «comunità alternativa».  È per questo che il pontificato di Francesco non può essere valutato secondo i canoni classici che oppongono conservare e innovare, verità e carità, teologia della liberazione ed europea, Chiesa popolare e gerarchica. Quella del Papa è una sfida più radicale, che postula un vissuto quotidiano dove la condivisione con i poveri si fa pratica di vita. Quella del Vescovo di Roma è, per la Chiesa, una svolta di tale portata che non sorprende che susciti qualche forte dissenso, ma che al tempo stesso genera entusiasmi e speranze ancora più forti. Entusiasmi e speranze che viviamo in prima persona noi di 'Reti della carità' (www.retidellacarita.org), gruppo di realtà religiose e di realtà laiche che in tutta Italia vivono quotidianamente la vicinanza con i poveri. Credenti e non credenti – o come amava ripetere Martini «pensanti» – che stanno condividendo le proprie esperienze per riscoprire il fascino e l’urgenza della carità: «pensanti» che hanno deciso di intraprendere il cammino educativo e spirituale tracciato da Francesco, convinti che la proposta di questo Papa sia troppo grande e innovativa per lasciare che vada sprecata. *Sacerdote e presidente della Fondazione Casa della carità Angelo Abriani, Milano
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