giovedì 26 marzo 2015
COMMENTA E CONDIVIDI
Caro direttore, la campagna di primavera a favore dell’autodeterminazione assoluta nelle scelte di fine vita è ripresa, godendo di spazi e appoggi mediaticopolitici in tv, per radio e sugli schermi televisivi. Pseudointerviste anonime offrono il pretesto per i commenti di noti maîtres-à-penser, finalizzati a educare il popolo e guadagnare sostegni alla causa.  In Parlamento il M5S e la sinistra dem, ricordano a tutti l’urgenza di un intervento legislativo sul 'fine vita', ottenendo buoni indici di ascolto anche a destra. In Friuli, una realtà territoriale che conosco bene, pur di non perdere tempo e restare i 'primi della classe' la Commissione Salute del Consiglio regionale ha approvato di recente una legge fai-da-te sulle dichiarazioni anticipate di trattamento. Tutti sanno che non ha alcun valore legale e che serve solo mantenere la pressione sul legislatore nazionale, ma i promotori hanno auspicato anche un possibile uso delle attestazioni di volontà in sede di giudizio, nel caso di comportamento difforme del medico. È evidente il tentativo di favorire la rottura del fronte medico, che porta scolpito il divieto di eutanasia nel proprio codice deontologico.  In mezzo resta la zona grigia della confusione terminologica tra desistenza terapeutica, abbandono terapeutico ed eutanasia, quasi che si trattasse di un’identica modalità di risposta all’accanimento terapeutico. In mezzo restano anche la (involontaria?) confusione tra malato terminale e grave disabile e quella tra sofferenza psichica, sempre lenibile, e sofferenza fisica, molto raramente incontrollabile, solitamente curabile. Nessuno di costoro che parli di appropriatezza delle cure, di assistenza amorevole (to care), sempre possibile anche quando guarigione e miglioramento (to cure) non sono più possibili. Nessuno di costoro che parli di accompagnamento umano, psicologico e spirituale, necessario anche quando le cure palliative sono adeguate, cosa peraltro non scontata. Tutti invece a preoccuparsi di 'staccare spine' da macchine che, talora, non hanno alcun ruolo nel piano di cura. Inutile nascondersi, poi, che intanto molte barriere sono cadute, grazie anche agli interventi creativi di alcuni magistrati.  Che fare dunque? È ancora sensato oggi, in questo clima politico e culturale, che ha permeato anche alcuni buoni cattolici, laici ed ecclesiastici, pensare di risolvere i problemi per mezzo di interventi legislativi che rischiano solo di aprire il vaso di Pandora e di avviare il Paese lungo il pendio scivoloso già percorso da alcuni nostri partner europei. Non è forse meglio sostenere il fronte medico, chiamato a rinnovare gli organi rappresentativi della professione, promuovendo nel frattempo una cultura capace di parlare della vita come di una stagione da essere vissuta sempre? Non è forse saggio far piuttosto uscire il malato, o il disabile, dalla zona d’ombra della solitudine e sostenere, anche materialmente, la sua famiglia e tutti quelli che per amore se ne prendono cura?  Non è meglio richiamare il valore sociale dell’essere umano, la cui vita personale, come prevede la Costituzione, è un bene di tutta la comunità, e non appartiene dunque solamente a un individuo intestatario, e cercatore, di diritti?  Personalmente, non sono in grado di dare una risposta certa e definitiva ai quesiti proposti, ma sono certo che nell’annuncio, nella catechesi e nelle omelie, sarebbe ora di tornare a parlare con franchezza al popolo cristiano della morte come apertura alla vita vera e della malattia e della disabilità come condizioni connaturali dell’esistenza umana, che non per questo la rendono meno degna di essere vissuta. *deputato Per l’Italia-Cd presidente del Movimento per la vita
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: