domenica 21 giugno 2015
COMMENTA E CONDIVIDI
Roma non sta bene. La gente è spaesata. Senza punti di riferimento. Non solo per i risultati dell’inchiesta su mafia-capitale, ma per un clima diffuso. Nelle periferie c’è molto vuoto. Mancano corpi intermedi, comunità, capaci di raccogliere e proiettare in avanti speranze ed energie. Nelle difficoltà, ogni romano, specie se fragile, è tanto solo. La vita quotidiana è dura per molti. Anche per chi sta meglio, l’esistenza è disagevole: ci disamora di questa bella città, vivendo in mezzo al traffico, in quartieri non vigilati, tra strade piene di buche, con servizi inadeguati. Sembra – ma forse è solo un’impressione – che il carattere dei romani sia cambiato. Lo si vede nel traffico: ciascuno fa per sé, senza regole, contro gli altri... È una metafora quotidiana di Roma senza un comune destino. Il Campidoglio è impallidito, a dir poco, come riferimento. Le amministrazioni lavorano spaventate.  Mancano i partiti, come in tanta parte d’Italia. Ma qui, la storia del Pd è emblematica, se si pensa che è, in parte, l’erede di quel Pci che seppe coagulare le periferie della città su di un sogno. Il lavoro di Fabrizio Barca ha mostrato la poca qualità del tessuto aggregativo del Pd, ma come rigenerare i partiti?  Roma ha bisogno di tanto: di governo ma anche di visioni. Karol Wojtyla scriveva: «L’uomo soffre soprattutto per mancanza di visioni». La corruzione uccide le visioni, perché conferma che la realtà è solo denaro. Si è governato male a Roma. Senza visione. Il grande storico Theodor Mommsen, dopo la proclamazione di Roma capitale, ripeteva ai governanti: «A Roma non si sta senza propositi cosmopoliti». Aveva colto la natura di questa città: vivere in una dimensione più larga. È la sua dignità e la sua ricchezza. È la caratteristica della sede di un centro religioso universale.  Certo, avere un’idea universale è un compito che si rinnova di tempo in tempo. Negli anni Settanta, di fronte alla crisi delle periferie, quel grande pastore che fu il cardinal Poletti (poco ricordato) rinnovò il rapporto della Chiesa con il mondo periferico: Roma, città malata, andava guarita. C’era un’idea di Roma e un sogno. Allora c’era chi parlava di riscatto politico. Poi ci fu Giovanni Paolo II, innamorato di Roma, che ne evocava il nome, insistendo sulla vocazione universale: Roma-Amor. Non che manchino a Roma energie, voglia di fare, brava gente. Ci sono le reti della Chiesa. Ma il mondo romano è in frantumi. Diffidente verso qualcuno che convochi gli altri.  Qui non si tratta solo di aggiustare qualche coccio rotto. Ma ci vuole una grande rinascita. Papa Francesco - che ancora riesce a convocare i romani - lo ha detto per ben due volte, a partire dal 31 dicembre 2014, dopo l’emersione di mafiacapitale: ha chiesto «una seria e consapevole conversione dei cuori per una rinascita spirituale e morale, come pure per un rinnovato impegno per costruire una città più giusta e solidale...». Ha aggiunto: «Occorre difendere i poveri, e non difendersi dai poveri, occorre servire i deboli e non servirsi dei deboli!». Una rinascita di Roma deve partire dai più deboli.  L’inchiesta giudiziaria rivela come mafie, pezzi di amministrazione, mondo di sinistra e di destra, ma anche segmenti di cattolicesimo, si fossero serviti dei poveri.  Nessuno ha chiesto perdono agli sfruttati di Roma. Un po’ attoniti, tanti sono rimasti nel proprio ambiente: spesso i migliori. Forse nelle ore difficili, non basta fare solo il proprio dovere. Tra tanta pochezza di 'idee universali', Domenica scorsa è risuonata di nuovo la voce del Papa: Roma, «anche a seguito di alcune ben note vicende, ha bisogno di una vera e propria rinascita morale e spirituale. E questo è un compito molto forte». Il Papa interpreta un’esigenza ulteriore a quanto si fa normalmente: la rinascita di Roma.  Se c’è mafia a Roma, a Roma non c’è stato un movimento antimafia come altrove. La magistratura prova ad amputare pezzi corrotti. Ad altri tocca far risorgere il corpo. Da dove cominciare? Se l’amministrazione comunale si presenta in grave difficoltà e la politica è ammalata, che resta? Tanta gente non accetta che Roma finisca così. Se questa gente non saprà trovar voce, tutto finirà nell’ennesima manifestazione di populismo, la più estenuata. L’urgenza è tale che le tante energie sane, e di speranza, di Roma devono superare la linea di preoccupata riservatezza che si sono imposte, spaventate dal degrado della scena pubblica.  Questo è avvenuto in altri momenti della storia della città. Bisogna aprire una stagione 'costituente' per Roma.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: