mercoledì 13 aprile 2016
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La «persecuzione educata» che il Papa ha evocato ieri mattina nella Messa a Santa Marta si aggiunge al già corposo dizionario bergogliano dei neologismi e delle immagini folgoranti: un concetto inciso nella pietra del realismo con lo stile del paradosso. È la forza espressiva degli ossìmori, un’idea lavorata a sbalzo grazie alla compresenza di due opposti apparentemente incompatibili eppure combinati in una miscela che alimenta il motore della cultura globalizzata. Oggi – denuncia il Papa con l’abituale franchezza – «viene perseguitato l’uomo non per confessare il nome di Cristo, ma per voler avere e manifestare i valori del Figlio di Dio». Quella che prende di mira idee e princìpi è una forma di persecuzione che non ricorre alla sopraffazione fisica – evocata comunque da Francesco ricordando il massacro di Pasqua in Pakistan e parlando apertamente di cristiani «martirizzati» – ma dissimula la sua violenza intrinseca presentandosi «travestita di cultura, di modernità, di progresso». Non per questo è meno pericolosa, anzi: anch’essa, come l’altra, è «contro Dio creatore nella persona dei suoi figli». Le sue armi sono «leggi che obbligano ad andare su questa strada» contro le proprie radicate convinzioni, a tal punto che «una nazione che non segue queste leggi moderne, colte – nota Francesco con un lampo di humour –, o almeno che non vuole averle nella sua legislazione, viene accusata» e «perseguitata», s’intende, «educatamente», fino al punto che si «toglie all’uomo la libertà, anche dell’obiezione di coscienza». Un caso-limite che il Papa propone il giorno dopo l’assai reclamizzato rimprovero del Comitato per i diritti sociali del Consiglio d’Europa all’Italia per "eccesso di obiettori" all’aborto, e che cita con parole che suonano come un allarme esplicito sull’avanzare inavvertito dell’intolleranza verso chi esprime un’istanza etica dissonante. Rimbalzando spesso increduli tra notizie di sentenze, risoluzioni, progetti di legge e campagne mediatiche, tutti sull’identica rotta dell’omologazione a marce forzate, assistiamo al progressivo svuotamento della scena pubblica da ogni valore significativo, riconoscibile come tale proprio per il suo profilo, la storia, il radicamento nella coscienza della gente, la diffusa condivisione. Per estirpare queste delicate strutture che danno corpo allo spirito di una comunità, e dunque alla sua capacità di riconoscersi in un sistema di riferimenti essenziali, comuni e rispettati su un piano semplicemente umano, si ricorre a ogni genere di strumenti culturali e a strategie comunicative sottili e persuasive, messe in campo però con l’aria di non voler ferire nessuno, e semmai di muoversi animati dal desiderio di rispettare tutti.Ecco allora diffondersi «educatamente» la convinzione che sia bene rimuovere idee sorpassate, che altrove si è già andati ben 'oltre', che l’intelligenza va sfrondata dai pregiudizi, che senza aggettivi per definire appartenenze si è più liberi e meno succubi, che il significato di parole antiche e sinora univoche vada allargato per non escludere nessuno... Una petulante manipolazione per plasmare la cultura piegandola all’ideologia della neutralità che tutto equipara e nulla sopporta di stonato rispetto al suo indiscutibile dogma dell’antidogmatismo.  Ma come può la tolleranza mostrarsi allergica alla differenza di opinioni? E l’accettazione asettica di qualunque presenza opporsi a manifestazioni di identità? Eppure è di queste contraddizioni che si nutre la cultura oggi prevalente sulla scena pubblica, forgiando una 'piazza' per il dibattito di idee nella quale hanno diritto di cittadinanza tutte le opinioni salvo quelle che contestano proprio l’assoggettamento a questa religione del vuoto, ossessionata dalla negazione della differenza, che esalta l’individuo e ogni sua possibile pretesa nel nome dell’uniformità e dell’allineamento a un pensiero medio collettivo. È ovvio che, come davanti alla prima diffusione del messaggio evangelico, i cristiani sono i primi destinatari dell’avviso di sfratto per chi non accetta questa forma di totalitarismo culturale, tanto ostile a chi si richiama a un’autorità «che non è di questo mondo» da mettere in campo forme di autentica persecuzione. Educata, ci mancherebbe, per non disturbare il sonno della ragione. Ma c’è chi non vuol proprio farsi addormentare. E papa Francesco dà una mano, anzi tutte e due.
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