mercoledì 20 aprile 2016
Riforma, per le Bcc i dettagli fanno la differenza
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Con l’approvazione da parte del Parlamento della legge di riforma delle Bcc si è chiuso il primo capitolo di una storia importante che ha visto tra i protagonisti anche Avvenire con il dibattito sviluppato a partire dalle colonne di questo giornale. Il risultato finale è vicino al migliore possibile dati il contesto e le premesse, ma probabilmente anche in assoluto se la buona cornice legislativa creata non sarà rovinata dalla definizione dei dettagli e dalla loro applicazione sul campo. Una delle lezioni più importanti della vicenda sta proprio nel processo partecipativo di intelligenza collettiva che ha prodotto un risultato migliore della somma delle parti.  Seguendo un percorso di dialettica hegeliana si è partiti da una tesi forte avanzata dal governo: il mondo bancario cooperativo-popolare non è in grado di autoriformarsi e dunque viene trasformato in altro per poter essere al passo dei tempi. A questa tesi si è subito contrapposta un’antitesi partita proprio dalle colonne di Avvenire: non è il caso di gettare il bambino con l’acqua sporca e la debolezza di una specie non si cura cancellando la specie stessa, riducendo la biodiversità bancaria ed aumentando la fragilità del sistema. Le banche a voto capitario hanno storicamente svolto un ruolo importante di 'servizio universale bancario' soddisfacendo la domanda di credito anche in zone ed aree e per tipologie d’imprese dove l’erogazione bancaria non è particolarmente redditizia. In molti altri Paesi d’Europa e del mondo, banche mutualistico-cooperative svolgono un ruolo importante e non sono necessariamente di piccole dimensioni. Da un punto di vista statistico questo modello di banca presta tradizionalmente di più (rapporto crediti/totale attivo significativamente più elevato delle altre banche) e ha una volatilità di Roe e Roi (rendimento del capitale azionario e degli investimenti) inferiore. La sintesi tra tesi e antitesi a cui si è arrivati dopo un lungo cammino di autoriforma realizzato attraverso un confronto continuo tra associazione di categoria, governo e banca d’Italia ha prodotto un esito che ha rafforzato il mondo del credito cooperativo sotto due fondamentali profili. In primo luogo ha messo in sicurezza i requisiti patrimoniali restituendoci un terzo gruppo bancario del Paese complessivamente ben capitalizzato. In secondo luogo ha ridotto una fonte di rischio generato dalle mancate opportunità di diversificazione settoriale del credito che alcune Bcc soffrivano. È importante che si sia arrivati a questo risultato dati premesse e contesto dicevamo, dove per contesto intendiamo i tassi zero o negativi che oggi comprimono fino all’inverosimile i margini di guadagno dell’attività creditizia, l’adozione del bail-in che può trasformare ogni piccola o grande crisi di banca locale in un fallimento che coinvolge risparmiatori e potenzialmente correntisti, e infine lo zero in pagella delle politiche macroeconomiche dell’UE che è stata capace di sbagliare tutto dopo la crisi finanziaria globale non imboccando nessuna delle tre risposte prontamente adottate dagli Stati Uniti ( quantitative easing, stimolo agli investimenti pubblici e piano di acquisto dei titoli tossici).  Le chiavi del successo nel passaggio da una buona cornice normativa ad una tela capolavoro passano adesso attraverso alcuni punti nevralgici. La capacità di coinvolgimento e di partecipazione degli attori del sistema in un secondo processo di intelligenza collettiva di scrittura dei dettagli del piano che legherà la capogruppo e le Bcc controllate, la capacità della capogruppo di dare piena autonomia alle Bcc virtuose intervenendo invece con decisione nei casi di cattiva gestione e la capacità di valorizzare i benefici della distanza corta sul territorio evitandone i potenziali costi (la cattura della politica locale). Che di questo tipo di banca abbiamo bisogno lo testimonia ancora una volta l’allarme lanciato in questi giorni da Nicastro, il direttore della good bank che ha rilevato le attività delle 4 banche oggetto di bail-in: «Il mercato non premia chi fa banca». È l’ennesima prova del dilemma tra credito e profitto: se una banca massimizza il profitto raccoglie facilmente capitali ma non fa banca, se invece decide di fare banca finanziando anche artigiani e piccole imprese si dedicherà ad attività che non creano certo il massimo valore per gli azionisti e farà più fatica a raccogliere capitale (di qui la regola dell’accantonamento degli utili a riserva delle banche cooperative). La sfida del nuovo gruppo cooperativo è trovare nuove soluzioni a questo dilemma vincendo la sfida di restare 'banca differente'.
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