mercoledì 28 maggio 2014
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​Con tutte le cautele necessarie quando ci si avventura in confronti e in analogie storiche, il successo politico incassato domenica scorsa da Matteo Renzi potrebbe essere paragonato, non tanto per le dimensioni e le ricadute politiche immediate quanto per le prospettive che apre al vincitore e al Paese che ha il compito di guidare, a un piccolo "18 aprile". In quel giorno del 1948, occorre ricordarlo per i più giovani, gli elettori italiani affidarono alla Dc di Alcide De Gasperi, contro le previsioni di molti, la maggioranza assoluta del Parlamento e il conseguente compito di pilotare la ricostruzione del Paese, uscito appena tre anni prima dalla catastrofe bellica. Il presidente del Consiglio di oggi, ovviamente, non ha ottenuto dalle urne i poteri e il sostegno parlamentare che ebbe a suo tempo lo statista trentino, dal momento che si è votato per riempire i 751 scranni dell’assemblea di Strasburgo e non i seggi di Montecitorio e di Palazzo Madama. L’investitura si manifesta piuttosto in termini psicologici e di consenso da parte dell’opinione pubblica. Ma, per l’appunto, lo scenario che si apre per il premier potrebbe rivelarsi altrettanto promettente e fecondo, per lui e per noi, a condizione che sappia raccogliere con coraggio, unito a quell’umiltà di cui ha fatto lunedì pubblica professione, le grandi sfide in esso racchiuse. Un’umiltà che è madre della sobrietà, della concretezza e dell’efficacia, ma anche della capacità di ascolto e di raccordo rispetto alle voci più autentiche (e non corporative...) della realtà sociale italiana.Per riprendere il paragone con l’inizio dell’era degasperiana, Matteo Renzi può però contare oggi, a differenza di allora, su un elemento in più a suo favore. E cioè proprio quella costruzione europea che pochissimi governanti dell’immediato dopoguerra, in particolare solo qualche spirito lungimirante capace di concepire grandi disegni, seppe immaginare. Può apparire un paradosso indicare oggi come una chance in più l’esistenza della Ue, contro la quale si sono concentrate nella campagna elettorale appena conclusa, non sempre a torto, le accuse più aspre e addirittura (ma in tal caso molto a sproposito) demolitorie. Eppure è così: solo riprendendo in mano e rilanciando con audacia il progetto comunitario, e cercando a tale scopo le necessarie alleanze, il premier italiano, che dal 1° luglio presiederà per sei mesi il Consiglio dei capi di Stato e di governo, sarà in grado di garantire in buona misura anche il successo della sua missione interna.Non è tanto, o non solo, un problema di riuscire a strappare agli altri leader maggiori spazi di manovra finanziaria, di attenuare le tendenze rigoriste care alla Germania e all’asse del Nord, per incassare ulteriori dividendi politici in patria. La legittimazione popolare che le urne del 25 maggio hanno assegnato al nostro presidente del Consiglio lo mette in grado, se ci crede davvero, di contribuire ad aprire una prospettiva nuova all’Europa unita, scuotendo i partner più inclini a rinchiudersi nella difesa degli interessi nazionali. E in questo – altro paradosso – il premier tricolore può giovarsi perfino del boom elettorale registrato dalle formazioni euroscettiche: un successo interpretabile, più che come conseguenza della "troppa Europa", come figlio dell’indecisione e della timidezza nell’adeguare il cammino comunitario alle nuove esigenze del XXI secolo.

Nei suoi primi passi in sede comunitaria da capo di governo più premiato nel voto, partecipando al vertice informale dei leader della Ue, Renzi ieri sera è sembrato imboccare il sentiero giusto: attenzione alle scelte da compiere prima che alle nomine da concordare tra i big (che pure peseranno, così come peserà la statura, il prestigio e lo spirito di servizio del nuovo membro italiano dei vertici comunitari).Tradotto: impulso a nuovi investimenti in settori cruciali per il futuro di tutti come la scuola e le nuove tecnologie e una cura più assidua alle effettive condizioni di vita delle famiglie. Il tutto affermato, con uno stile semplice e un linguaggio accessibile a quei cittadini che tanti vorrebbero spingere sempre più sulla trincea dell’antieuropeismo. È solo un esordio, ma in certe situazioni è importante non sbagliare "la prima". Anche per dare del nostro Paese l’immagine che merita sulla scena continentale, per la sua storia e per il suo ruolo di fondatore del quale non vuole e non deve pentirsi.

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