mercoledì 16 aprile 2014
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Quindici giorni fa i qaedisti di Boko Haram avevano promesso di «colpire al cuore» il sistema economico nigeriano, paralizzando gli oleodotti. L’altro ieri hanno dimostrato con 75 morti, se mai ce ne fosse stato bisogno, di aver raffinato la loro “logistica” di morte e di essere in grado di agire in grande stile nella superprotetta capitale Abuja. Questo perché ora il loro obiettivo è chiaro: dimostrare, ad alto livello, l’inefficienza dal punto di vista della sicurezza del governo federale. E mettere il mondo – soprattutto quello dell’economia – davanti alla realtà di un “gigante” che sarà sì la prima economia del continente, ma che è anche un’economia che si regge su piedi d’argilla. La risposta del governo di Goodluck Jonathan è sempre la stessa: rafforzare la sicurezza. Oltre seimila uomini saranno dispiegati ad Abuja per la “Davos d’Africa”, il vertice economico che si terrà nella città tra il 7 e il 9 maggio per dimostrare le potenzialità del più grande produttore africano di greggio e della prima economia del Continente; posizione guadagnata qualche giorno fa con il ricalcolo del Pil che ha superato anche il Sudafrica. Un’occasione però “strategica” per le menti del terrore africano per riaffermare che il fenomeno Boko Haram non è «residuale» come il presidente ripete. Un terrificante gioco al massacro che rischia di acuirsi da qui a tre settimane quando avrà inizio il summit, emanazione africana del forum svizzero.Ma, rispetto solo a un anno fa, la setta di Boko Haram non è più la stessa. I legami, in particolare con al-Qaeda per il Maghreb islamico, hanno conferito al gruppo terroristico caratteristiche militari sviluppate. Così come l’armamento di cui dispone è ormai devastante. Il tutto grazie ad aiuti che arrivano dall’esterno e da coperture “politiche” di cui il gruppo gode ancor oggi in molti degli Stati settentrionali nigeriani a prevalenza islamica. Boko Haram non ha più solo basi operative nella zona di Maiduguri nel Borno. Ora ha “santuari” in Camerun (dove sarebbe responsabile del sequestro anche dei due sacerdoti vicentini e della suora canadese) e nelle regioni centrali: zone franche nelle quali addestrare le giovani leve del jihadismo africano. Aree dalle quali sferrare attacchi sempre più elaborati dal punto di vista logistico-strategico. E tutti con bersagli studiati: il sequestro di studenti, per punite «l’educazione occidentale» impartita dallo Stato, le comunità cristiane, le strutture di potere. L’attacco alla stazione dei bus di Abuja di lunedì segna così un passaggio ulteriore, un punto di non ritorno: ora lo Stato è vulnerabile anche nel suo cuore. E nel portafoglio.
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