venerdì 4 settembre 2015
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Lunedì sera si è verificata l’ennesima strage di civili, con un bilancio di 80 morti, nel tormentato Stato nigeriano del Borno. Ma questa volta è avvenuto qualcosa d’inedito nel macabro contesto che da anni affligge la popolazione. Le vittime di lunedì sono infatti state uccise, da misteriosi uomini a cavallo in due distinte località: Kolori e Ba’ana Imam. Cavalcando destrieri velocissimi e ben addestrati, secondo la tipica tradizione araba, i miliziani hanno seminato morte e distruzione. Se da una parte è chiara la matrice degli aggressori, alcuni dei quali brandivano le insegne del movimento Boko Haram, dall’altra è evidente che non fossero nigeriani. I miliziani che appartengono alla compagine estremista nigeriana, solitamente, utilizzano mezzi meccanici per i loro spostamenti. Come mai questa volta si è verificato un attacco equestre? Indubbiamente, vi sono dei vantaggi dal punto di vista tattico: spostamenti silenziosi e rapidi rispetto ai veicoli tradizionali e una discreta mimetizzazione nella vegetazione. Ma i Boko Haram sono davvero poco avvezzi a questo tipo di locomozione e fonti locali, contattate direttamente sul posto, ritengono che i due attacchi, avvenuti lunedì scorso, siano stati compiuti da miliziani ciadiani e sudanesi, i feroci Janjaweed, quei “diavoli a cavallo” appartenenti alla famiglia estesa dei Baggara, insediata nel Sudan Occidentale e nel Ciad Orientale. Il sostantivo Baggara comprende in effetti vari gruppi etnici semi-nomadi quali ad esempio gli Humr/Messiria, i Rizaygat, i Shuwia, i Hawazma, i Ta’isha, e i Habbaniya. Sono gli stessi predoni che hanno commesso nefandezze nella regione sudanese del Darfur e nel vicino Ciad. Inoltre, dal 2013 era stata segnalata la loro presenza addirittura nella Repubblica Centrafricana, al fianco di formazioni estremiste islamiche.Il dato inquietante è sapere che questi diavoli a cavallo siano riusciti ad avviare una collaborazione militare con gli insorti nigeriani, a riprova che la mobilità di queste formazioni jihadiste, nel cuore dell’Africa Subsahariana, avviene, per così dire, con grande disinvoltura. Si tratta di una penetrazione di cellule eversive che godrebbero dell’appoggio del salafismo più intransigente, quello che vorrebbe imporre la sharìa, la legge islamica, ovunque. D’altronde, sul versante opposto, nella Repubblica Democratica del Congo, è stata segnalata la presenza di mercenari libici, sudanesi e ciadiani, a fianco delle Allied Democratic Forces (Adf). Si tratta di un gruppo eversivo ugandese, in passato finanziato dal governo di Khartoum, che proprio nell’ex Zaire ha allestito le proprie basi operative. Secondo alcune testimonianze di rifugiati congolesi, ospitati nel distretto di Bundibugyo (Uganda), a combattere in Congo, a fianco delle Adf, vi sarebbero miliziani che parlano arabo e alcuni di loro sarebbero gli Humr/Messiria di cui sopra. È evidente che formazioni armate preesistenti alle cosiddette “primavere arabe”, come i Boko Haram, attivi dal 2009 e le Adf, operative addirittura dal 1996, stanno aprendosi sempre più alla collaborazione con gruppi eversivi stranieri. Il jihadismo, parafrasando un proverbio africano, è come “quel serpente che ha già posto le sue uova nel nido delle aquile”.

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