sabato 19 marzo 2016
Roma, il gesto irrispettoso dei tifosi dello Sparta Praga. Una riflessione di Marina Corradi.
La mendicante umiliata: noi e le vite da niente
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La telecamera inquadra una banda di tifosi stranieri a passeggio nel cuore di Roma. In ginocchio sul Ponte Sant’Angelo c’è una vecchia mendicante, vestita di nero; se ne sta china, con la fronte a terra. Dei ragazzi le si fermano accanto. La guardano dall’alto, poi si slacciano i pantaloni e le pisciano addosso. La vecchia, smarrita, si alza: si allontana, gli occhi a terra, fra gente che – forse – non si è accorta di nulla. Il video era ieri sul web. Un altro video, di mercoledì scorso, viene da Madrid: dei tifosi, questa volta olandesi, in città per una partita di Champions League, siedono ai caffè di Plaza Mayor. Un gruppo di donne rom va chiedendo la carità. I tifosi si divertono a lanciare loro monetine, così come tirerebbero noccioline alle scimmie allo zoo. Le donne saltano e si buttano a terra, a catturare gli spiccioli. I ragazzi ridono. Roma, Madrid: Europa, pensi con malinconia. E certo, gli ultrà in trasferta, ubriachi, protetti dall’essere una banda, possono comportarsi da impuniti. Ma che amarezza profonda lascia il vedere dei ragazzi europei di vent’anni, che giocano a umiliare degli inermi. Passa qualche ora, e sul web si affaccia un altro video. Questa volta non mostra mendicanti, ma vecchi, disabili malati di Alzheimer, in una casa di riposo vicino a Parma. La telecamera nascosta riprende degli infermieri che danno calci ai ricoverati, li scherniscono, li chiamano "scimmie" e "mummie". Non rialzano da terra i pazienti che cadono, ma li lasciano lì, gementi; umiliano una malata che si è sporcata, cambiandola sotto agli occhi di tutti. A Parma, cuore di antica solidarietà cristiana e socialista. E non è che l’ultimo di una serie di casi analoghi, in questi ultimi mesi, in Italia. Tutti freddamente testimoniati da telecamere nascoste, tutti inoppugnabili. Il gusto di umiliare l’indifeso, è questo il filo che unisce in chi sta a guardare episodi tanto diversi, e li coagula in una unica, smarrita amarezza. Come se nella plancia di comando della gran nave su cui insieme tutti viaggiamo si accendessero qui e là, piccole, lampeggianti, delle spie rosse d’allarme. La grande nave procede, in apparenza, regolarmente; eppure, quei segnali non dovrebbero essere ignorati. Quanto ancora la pietà viene naturalmente tramandata ai figli, nelle nostre case? Sicuramente la grande maggioranza di noi ha ereditato l’imperativo interiore che obbliga a rispettare e aiutare chi è più fragile. Ma è come se, qui e là, si aprissero delle falle sottili. Nell’alcol, o nella sicurezza dell’impunità che viene dal credersi soli con malati incapaci e muti, può sboccare fuori talvolta, da un recesso oscuro, come un liquame di cattiveria vigliacca. Come il segno del principio di dimenticanza di quella pietas che, nata col cristianesimo, ha plasmato l’Occidente: dal tempo remoto in cui i primi Hotel Dieu, i primi ospedali cristiani, accoglievano i miserabili che morivano per strada. Poi certo, il Novecento ha visto un totalitarismo che ha voluto i "diversi" - handicappati, folli, rom, omosessuali, ebrei - eliminati con organizzazione e rigore industriale; ma è stato il fondo della notte più buia, e, dopo, sembrava tornata la luce. Sembrava un mondo, il nostro, in cui almeno la pietà per i più deboli era cosa condivisa. Spie rosse invece, piccoli scricchiolii dal grosso corpo della nostra nave. Si è fatto un gran parlare, in questi anni, di "dignità della vita". Di certi canoni minimi che sarebbe lecito pretendere, perché la vita sia degna di essere vissuta. Sotto a certi parametri, si è insinuato, la vita non vale più niente. Da pensiero, da teoria, l’idea è stata metabolizzata nel comune sentire di molti: ci sono vite degne, e vite da niente. Come quella di una vecchia a Roma, ingobbita dal lungo accattonare. Ma anche, qualche volta, testimonia ultimamente la cronaca, come quella dei nostri, di vecchi – quando noi non vediamo, e loro non sanno più parlare. Chi si accorgerà della vergogna perpetrata sulle "vite da niente"?Da anni il Papa si prodiga per i clochard di Roma: si preoccupa di dove dormono e di dove si possono lavare, li invita a cena, li manda a concerto e a vedere le meraviglie della Sistina. Li ha, sembrerebbe, più cari di ogni altro. Ci sta dicendo insistentemente qualcosa, Francesco. Di rispettare, e quasi venerare, l’ultimo dei miserabili che incontri. Di riconoscere in lui il volto di Cristo: lui, sotto agli stracci, sotto all’impotenza della malattia. Solo in questa pietà viscerale per ciascuno, il mondo resta un luogo vivibile. Altrimenti la nostra grande nave si allontana, alla deriva; e, in fondo, naufraghi a quel punto siamo tutti, a bordo, signori e mendicanti, sani e malati e dementi. Orfani di uno sguardo che ci riconosca, sempre, figli, e dunque fratelli.
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