giovedì 26 marzo 2015
COMMENTA E CONDIVIDI
La recente visita di papa Francesco a Napoli, ha suscitato – e non poteva non esser così – una vasta eco nei mass media televisivi, per la sua vigorosa denuncia della corruzione dilagante nella nostra società. «La corruzione spuzza, la società corrotta spuzza e un cristiano che fa entrare dentro di sé la corruzione non è cristiano, spuzza», ha con forza affermato il Papa. E ancora: «Quanta corruzione c’è nel mondo: è una parola brutta, perché una cosa corrotta, è una cosa sporca. Se noi troviamo un animale che è corrotto, è brutto. E spuzza. La corruzione spuzza e la società corrotta spuzza». In queste parole del Papa la 'corruzione' è attorniata non meno di cinque volte dalla presenza dell’insolito termine 'spuzza'. Un verbo 'puzzare' con il prefisso 's-' intensivo, semanticamente potenziato in «puzzare in modo acre e rivoltante», come in parole quali '(s)cancellare', '(s)cacciare', '(s)cambiare', '(s)premere'.  Trattandosi di un termine 'non comune' in italiano, in bocca a un italofono non nativo, qualcuno ha ritenuto di poter parlare di un 'errore', peraltro insistentemente ripetuto. Qualcun altro ha anche ipotizzato che il Pontefice avesse voluto avvicinarsi agli immediati destinatari del messaggio, adoperando un termine partenopeo. Che in realtà tale non è. Invece, il termine 'spuzza' è emerso dal dialetto italiano della famiglia del pontefice, com’è noto, di origine piemontese. La conferma 'dotta' la fornisce per esempio il 'Gran Dizionario Piemontese-italiano' di Vittorio di Sant’Albino (1859), che registra il verbo spussè (puzzare) e il nome spussa (puzza), «odore spiacevole di cose corrotte».  La voce è altresì ampiamente presente, con varianti, nei dialetti italiani settentrionali. Nel milanese: verbo spuzzà e nome spuzza, cito, in particolare, i poeti Carlo Maria Maggi (1630-99) e Carlo Porta (1775-1821). Nel ligure verbospussà, spussar, spüsà e nome spussa, spuça, spüssa ('Vocabolario ligure' di Sergio Aprosio 2003). Nel veneziano, cito solo il teatro settecentesco di Carlo Goldoni, ma anche nel roveretano e nel trentino. Il Petrocchi, nel 1890, annota anche che «vive a Pistoia».  Il termine, oltre che nei dialetti, è attestato nell’italiano antico, dal ’200 al ’500 e in diversi autori toscani: Giovanni Sercambi, Piovano Arlotto, Pietro Fortini… Il sostantivo femminile spuzza, oltre che nel ’200 e nel ’300 (Anonimo genovese e san Gregorio Magno, volgarizzamento), è stato adottato nell’800 e nel ’900 dal lombardo Carlo Dossi e dal toscano Umberto Fracchia, mentre Natalia Ginsburg utilizza il verbo spussa nel suo 'Lessico famigliare' (1963).  Il Pontefice ha quindi trasferito creativamente la voce del dialetto piemontese in italiano, attuando un normale procedimento di 'transfert' linguistico. In bocca a un locutore di tale prestigio il dialettalismo è stato insomma promosso, superando la fase di regionalismo a cui era relegato. Non è quindi giustificata, né filologicamente né semanticamente, la correzione puristica del termine del Papa 'spuzzare' banalizzato, scolorito e depotenziato in 'puzzare', che si è potuta leggere in non pochi giornali e sentire in telegiornali e radiogiornali.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: