mercoledì 12 ottobre 2011
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Gli episodi che fanno emergere le forti tensioni che scuotono il Carroccio si accavallano ormai con un ritmo quasi quotidiano e fanno intendere che la granitica unità del partito “padano” attorno al suo leader e fondatore è ormai uno sbiadito ricordo (e non sorprende certo il fatto che si accompagnino con una certa regolarità con “incidenti di percorso” via via più seri del governo imperniato sull’asse Pdl–Lega). Umberto Bossi sembra sempre più rinchiuso in una sorta di camarilla politico–familiare, che gli fa da scudo ma anche da intercapedine nei confronti di un movimento che si sente e si mostra disorientato. Naturalmente, al di là delle condizioni personali, conta la situazione politica difficile e le prospettive sempre più incerte. L’inattesa sconfitta elettorale subita anche dalla Lega nelle recenti elezioni amministrative parziali ha fatto cadere l’illusione che sarebbe stato il raggruppamento nordista il beneficiario delle previste defezioni dell’elettorato berlusconiano. La risposta di Bossi, così come si è espressa nel suo discorso veneziano di poche settimane fa, è stata deludente per i militanti, per l’intreccio tra la conferma dell’alleanza di governo accompagnata dalla riesumazione delle fanfaluche secessioniste. La Lega è un partito fortemente radicato sul territorio e questo fattore, che normalmente rappresenta un elemento di forza, rischia di trasformarsi nel suo contrario quando il gruppo dirigente sembra imballato, incapace di operare scelte convincenti e attraversato da crepe e contrapposizioni che però non assumono una chiara connotazione politica e programmatica. Di fronte alla crisi economica la Lega ha detto solo dei “no”, più o meno giustificati e più o meno espressivi della sensibilità e degli interessi della sua base elettorale e del suo sistema di riferimento sociale. Nella contesa che si è aperta nella maggioranza sulle scelte difficili da compiere ha esercitato un ruolo marginale e subalterno, talora a difesa del ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, talora a sostegno di interessi particolari. Le frasi oracolari di Bossi sulla durata della legislatura, che difficilmente può arrivare al traguardo naturale, prive di una precisazione sulla tattica parlamentare conseguente, non hanno convinto né i partigiani della continuità del governo né quelli che hanno l’opinione opposta. I militanti naturalmente scalpitano, esprimono proteste e dissensi, ma non hanno a disposizione un terreno di confronto politico praticabile. Probabilmente si tratta dell’effetto di un meccanismo di validazione interna delle scelte basato sulla fedeltà al leader, che funziona finchè si ottengono successi, ma che entra in crisi nel momento in cui è necessario confrontarsi con difficoltà oggettive. Alla Lega, che viene invitata perentoriamente ogni giorno a “staccare la spina” all’esecutivo non solo dalle opposizioni ma da una parte consistente della base, manca oggi una strategia di ricambio, il che la mette in una posizione di attesa paralizzante e irritante. D’altra parte l’illusione di uscire indenne da un fallimento del centrodestra, magari con una fuga “rivoluzionaria” in senso secessionista, appare un’ipotesi puramente propagandistica e priva di presa reale. Ormai al traino degli avvenimenti, anche la Lega presenta una crisi di leadership, senza gli strumenti per affrontarla in modo ordinato. Anche per questo è difficile capire come reagirà alla situazione che si è creata con la bocciatura della legge di bilancio alla Camera che apre nuovi scenari e rende più stringente la scelta tra una crisi al buio e una conferma della fiducia a un esecutivo in palese difficoltà, scelte ambedue foriere di nuovi elementi di tensione all’interno del raggruppamento nordista.
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