lunedì 1 dicembre 2014
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Senza profeti, carismi e artisti siamo destinati all’adorazione perpetua di vitelli d’oro. Ridurremmo le religioni a idolatrie, le comunità religiose a consumismo spirituale, l’opera d’arte a pura merce. Questi testimoni di "gratuità per vocazione" ricordano con la loro sola esistenza la natura di dono della vita, perché ci costringono ad alzare lo sguardo al di sopra di essi se vogliamo trovare la sorgente dei doni che li abitano. Il profeta sa di parlare in nome di un Altro, e ci dice che non è lui/lei che ci libera dal faraone d’Egitto. L’artista sa di non essere il padrone della parte migliore di sé, e che il dono che custodisce non è sua proprietà (e quando se ne appropria muoiono il dono e l’artista). Quando mancano profeti, carismi e artisti, il mondo si riempie necessariamente di idoli. I leader, gli imprenditori, i politici, i sacerdoti, diventano "dei" per i loro seguaci, dipendenti, elettori, fedeli. In assenza di un cielo più alto, il soffitto delle loro case diventa l’orizzonte ultimo dell’esistenza di tutti. Per evitare di ridurre YHWH a vitello non bastano i sacerdoti (Aronne), non è sufficiente la saggezza dei padri (gli anziani). Senza i profeti anch’essi finiscono per costruire col popolo il dio d’oro, per adorarlo, per fare danze e feste in suo onore.Mentre il popolo è immerso nei festeggiamenti al suo nuovo YWHW, finalmente ridotto a un dio semplice e banale, Mosè è sul monte in dialogo col suo Dio diverso: «Va, scendi, perché il popolo che hai fatto uscire dal paese d’Egitto si è pervertito» (Esodo 32,7). YHWH gli annuncia la sua decisione di punire il popolo: «Lasciami in pace, perché la mia ira si accenda contro di loro e li divori». E rinnova la promessa al solo Mosè: «Di te invece farò una grande nazione» (32,10). È dentro questa grande crisi della storia di Israele che inizia uno dei passaggi più belli della Bibbia, che ci fa capire ancora di più che cosa sia una autentica vocazione profetica, e ci apre un altro squarcio sul "volto" del Dio biblico. Mosè invece "non lascia in pace" YHWH, non accetta la sua decisione. Non gli basta salvare se stesso, vuole essere solidale col suo popolo traditore: «Mosè placò il volto di YHWH, suo Dio, e disse: "Perché si dovrebbe accendere la tua ira contro il tuo popolo, che hai fatto uscire dal paese d’Egitto? ... Desisti dall’ardore della tua ira e pentiti dal male minacciato al tuo popolo. Ricordati di Abramo, di Isacco, di Israele"» (32,11-13). Durante il tradimento più grande è la parola di un uomo, quella di Mosè, che lo fa pentire, gli fa ricordare i suoi atti e la sua promessa. E accade l’impensabile, qualcosa di impossibile al dio della filosofia, ma non al Dio biblico: «YHWH si pentì del male che aveva detto di fare al suo popolo» (32,14).Al profeta, però, non interessa la sua salvezza individuale, perché il senso stesso della sua esistenza è la salvezza di un popolo. Mosè non partì dal roveto dell’Oreb verso l’Egitto per cercare la sua felicità personale. I profeti sono così: si salvano solo salvando gli altri, a loro non interessa la propria realizzazione. E non interessa per vocazione e natura, non per altruismo né per filantropia. Il senso della loro vita è un altro. La ricerca della felicità individuale, posta al centro dell’umanesimo moderno, non è la molla che muove i profeti. Essi ci sono perché devono e vogliono svolgere un compito. Questa nota della vocazione profetica la ritroviamo anche nei carismi e, in un certo senso vero, negli artisti. Chi ha ricevuto in dono un carisma – civile, spirituale, politico... – sente di avere un talento da trafficare in attesa del "ritorno" del datore dei doni, che chiederà soltanto se i talenti sono moltiplicati. Non gli sarà chiesto se è stato più o meno felice durante la sua vita, ma se quei talenti hanno portato frutto. Non ha ricevuto un dono per il proprio "consumo" ma per moltiplicarlo e "produrne" altri per altri. Anche l’artista vive qualcosa di molto simile. Ha ricevuto una vocazione che è tutta gratuità, un dono che ospita in sé e che deve accudire e servire. Il profeta non si salva senza il suo popolo, il carismatico si smarrisce senza la sua comunità e senza i poveri, l’artista senza la sua arte e le sue opere. La gratuità non potrebbe diventare esperienza sociale, politica, economica se non ci fossero profeti, carismi e artisti che ce ne svelano la natura. Il momento cruciale nella loro vita, è però la prova del "vitello d’oro", quando il senso ultimo e unico della propria vocazione si perverte. Il mondo continua ad andare avanti e a non morire perché profeti, carismi e artisti riescono a essere solidali anche col popolo guastato, con comunità che si sono smarrite, con il proprio talento spento e silente. L'Esodo ci dice che la presenza e l’azione dei profeti possono far pentire persino Dio, possono smorzare e placare gli effetti delle nostre parole e dei nostri gesti perversi. Ma ci dice anche qualcos’altro: neanche i profeti possono evitare che le nostre parole e i nostri gesti siano realtà vive e quindi producano conseguenze. Il giorno in cui il popolo sotto il Sinai decise di negare e di spezzare l’alleanza riducendo YHWH a manufatto di metallo fuso, quel vitello, quelle danze e quelle feste sbagliate sono comparsi sulla scena del mondo. Nessuno può negare questa loro esistenza, nessuno può cancellare le conseguenze di quegli atti compiuti e di quelle parole pronunciate nei giorni del toro aureo. Neanche YHWH. Perché se riuscissimo a negarla rimpiccioliremmo troppo la nostra dignità e la nostra libertà, e negheremmo la nostra vocazione. L’immagine di sé impressa da Elohim nell’Adam si esprime anche nella sua capacità di tradire, di tradirsi e di subirne poi le conseguenze, nel suo dovere etico di dover rispondere per i gesti che fa, per le parole che dice. Di essere responsabile. La parola è efficace – è questo un grande principio della Bibbia –, anche quando quella parola è sbagliata, idolatrica, sleale. Tra tutte le parole, quelle pronunciate assieme hanno uno statuto particolare e forte. Le alleanze e i patti sono, per loro natura, atti sociali efficaci, eventi che cambiano per sempre la nostra vita. Il matrimonio, la fondazione di una comunità, lasciano tracce nelle nostre carni individuali e collettive, le incidono e le trasformano. I patti possono essere sciolti e le alleanze possono essere rotte, ma i segni che ci hanno lasciato restano per sempre. E se le parole e i gesti dei patti ci cambiano indipendentemente dalla nostra fedeltà, anche i tradimenti e le rotture dei patti producono effetti in noi e attorno a noi, vivono di vita propria. I grandi perdoni possono sanare anche le ferite relazionali più profonde, ma gli effetti operati da quel tradimento restano vivi perché la storia è vera e non è inganno. Il prezzo da pagare affinché un incontro di due "sì" pronunciati crei una nuova realtà, perché parole dette su pane e vino li trasformino in cibo e bevanda di vita eterna, è la verità degli effetti dei nostri "no". Un prezzo comunque giusto e buono, perché l’unica alternativa possibile al mondo delle parole efficaci e della nostra responsabilità è il regno del vitello d’oro e di tutti gli idoli, un mondo dove tutti i "sì" e tutti i "no" sono solo fiato, perché tutte le parole sono false. Una grande tentazione del nostro tempo idolatrico è svuotare le parole della loro verità. Non abbiamo più le virtù che ci fanno capaci di assumerci tutte le conseguenze delle parole che diciamo, ma invece di convertirci e cercare di tornare responsabili, preferiamo ridurre le parole a chiacchiere, a soffi di vento che possiamo smentire, ritirare, cancellare perché hanno perso ogni contatto con la realtà, e noi con esse.È solo dentro questa cultura della parola e delle parole efficaci che si comprende la scena che si compie sotto il monte, quando Mosè scende dal Sinai e vede lo spettacolo che si sta svolgendo attorno al vitello: «Quando si fu avvicinato all’accampamento, vide il vitello e le danze. Allora l’ira di Mosè si accese: egli scagliò dalle mani le tavole, spezzandole ai piedi della montagna. Poi afferrò il vitello che avevano fatto, lo bruciò nel fuoco, lo frantumò fino a ridurlo in polvere, ne sparse la polvere nell’acqua e la fece bere agli Israeliti» (32,19-20). E così «I figli di Levi agirono secondo il comando di Mosè e in quel giorno perirono circa tremila uomini del popolo» (32,26). Mosè aveva ottenuto il pentimento di YHWH, ma per sperare una "nuova alleanza", doveva correggere ed eliminare gli effetti prodotti dal tradimento del popolo. Il perdono e il pentimento di YHWH non era sufficiente per poter ricominciare. Mosè doveva fare altri gesti e dire altre parole, perché se non lo avesse fatto avrebbe negato la differenza tra il vitello di metallo e il suo Dio, che non è un idolo anche perché prende sul serio le nostre parole e i nostri gesti, e così li riempie di realtà e di verità. Gli idoli non ci puniscono, non si pentono, né fanno alleanze con noi, perché sono soltanto fantocci. L’inevitabile efficacia delle conseguenze delle nostre azioni ci dice che la storia nostra e quella degli altri non è inganno, e che il mondo è vero. I profeti, che sanno placare Dio, curano le alleanze che noi abbiamo spezzato, e ci danno la possibilità di ricominciare anche dopo le costruzioni dei vitelli d’oro. Stanno anche qui la bellezza e l’amore della vita e del mondo
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