venerdì 8 aprile 2016
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Tra gli argomenti esibiti a favore della depenalizzazione o addirittura della legalizzazione della maternità surrogata – l’'utero in affitto' – vi è quello che considera i nove mesi di 'gravidanza a contratto' come un periodo nel quale, tra la donna e il figlio di una coppia di cui essa non è parte, si instaurerebbe solo un rapporto strumentale, di tipo termostatico, ossigenativo, nutrizionale e detossificante.  Conclusa la locazione uterina, tra la gestante dispositiva ed il neonato – a detta di costoro – svanirebbe ogni legame biologico per lasciare posto a quello che essi considerano avere esclusivo valore antropologico: il legame affettivo, curativo ed educativo dei 'genitori committenti', con almeno uno dei quali sussiste permanentemente un nesso biologico ('legame di sangue') dovuto alla trasmissione ereditaria costitutiva di una quota del genoma. Il secondo partner della coppia fruitrice della surrogazione di maternità interverrebbe nella relazione genitoriale solo per l’affezione, la cura e l’educazione, grazie all’istituto della stepchild adoption (adozione del configlio). Occorre anzitutto denunciare la grave riduzione dell’atto umano della gestazione a mero instrumentum generationis. Ciò non di meno, anche trascurando - ma come si potrebbe, in forza dell’esperienza delle mamme e degli studi antropologici, psicologici e sociologici? l’instaurarsi dell’attaccamento madre-figlio già nei mesi della gestazione e il conseguente 'trauma da distacco', che postulano una dinamica relazionale profonda e duratura tra la gravida e il feto, sono alcune scoperte della biologia ostetrica e dell’istologia umana a fornirci preziose indicazioni contrarie alla riduzione dell’utero a semplice 'incubatore biologico'. Il nascituro non intrattiene con la donna una relazione di sola dipendenza metabolica transitoria, terminata la quale non resterebbe nella madre gestazionale e nel partorito alcuna modificazione permanente frutto di questa relazione, in grado di incidere sulla vita di entrambi. La realtà mostra proprio il contrario.  Durante la gravidanza, sfuggendo alla barriera placentare, cellule del feto entrano nel sangue della madre e viceversa, generando un fenomeno chiamato 'microchimerismo'. Alcune cellule fetali circolano nel sangue materno già alla sesta settimana di gestazione e sono state ritrovate anche 27 anni dopo il parto. Esse colonizzano tessuti di midollo osseo, polmoni, tiroide, milza, fegato, rene e cuore e sono identificabili anche nel cervello. Le conseguenze del 'microchimerismo fetale' su processi fisiopatologici quali la risposta immunitaria e la rigenerazione cellulare (è noto un caso in cui nicchie di cellule pluripotenti di origine fetale hanno contribuito alla riparazione del danno da epatite C nel fegato di una donna la cui gravidanza risaliva a 17 anni prima), sono in corso di studio, ma la presenza di cellule fetali nel corpo della donna è un inequivocabile e permanente segno biologico di una relazione con il nato che ha portato nel suo grembo per nove mesi. Una relazione che non dipende dal fatto che essa ne è eventualmente anche la madre genetica, né dalla decisione di tenere con sé o consegnare ad altri il bambino. D’altra parte, cellule del corpo della gestante vengono ritrovate in quello del bambino e dell’adulto, anche decenni dopo la nascita. Il fenomeno è noto come 'microchimerismo materno', e può riguardare non solo le cellule proprie della partoriente, ma anche quelle provenienti da sua madre (ricevute mentre lei stessa si sviluppava in utero) o da un feto portato in una gravidanza precedente (fratello gestazionale). L’effetto di questa presenza sulla risposta immunitaria e altri processi biologici è oggetto di ricerche che testimoniano la permanenza di un legame somatico tra la gestante e il gestato, al di là di quello inerente alla cellula sessuale della donna eventualmente implicata nella sua procreazione e al patrimonio genetico germinale da lei trasmesso o meno al bambino. Così che Amy Boddy e i suoi colleghi dell’Università dell’Arizona, studiando il fenomeno, parlano di 'un’estensione della placenta 'oltre l’utero', fin dentro ai tessuti' della donna e del feto, 'durante la gravidanza e per lungo tempo dopo il parto'. E un documento dell’Accademia medica nazionale francese sulle implicazioni cliniche, etiche, sociali e giuridiche della gestation pour autrui invita a considerare il microchimerismo materno-fetale tra i dati significativi per una valutazione responsabile di che cosa implicherebbe, anche solo sul piano biologico, una riduzione della gravidanza a mera 'prestazione d’organo'.
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