giovedì 17 settembre 2015
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Sembra una concatenazione inevitabile: fine elementari-inizio medie, cellulare in tasca nello zaino, frequentazione dei social network. E così accade che tre quarti dei bambini italiani fra i nove e i dieci anni non solo possiedono uno smartphone, non solo navigano liberamente in rete, ma hanno anche un profilo aperto su Facebook. Almeno stando alla ricerca su giovanissimi e web promossa da Tim e dall’Università Cattolica del Sacro Cuore. Questa analisi non può lasciarci indifferenti, per diversi motivi. Molti ragazzi di questa età, che incontro nelle scuole, spesso mi impressionano per l’ingenuità che dimostrano verso la cosiddetta identità virtuale. Per un bambino delle elementari e inizio medie essere su Facebook significa avere mentito sulla propria età; vale a dire che per l’apertura del profilo egli deve avere almeno dichiarato di essere tredicenne, altrimenti non gli sarebbe stato possibile. Ecco il paradosso: chi, così giovane, è nei social network con un profilo a tutti gli effetti falso tende a prendere per buona l’identità virtuale degli altri, limitandosi al controllo della foto per la verifica dell’attendibilità.  Si costituiscono quindi dei rapporti virtuali con presunti soggetti cui si accorda comunque fiducia. In aggiunta, la possibilità di usare perfidamente la rete per far del male o emarginare compagni e compagne nelle chat di WhatsApp è un dato di fatto che sta creando difficoltà e problemi in molte scuole, per cui spesso sono richiesti interventi. Eppure, pericolo adescamento e cyberbullismo non sono l’unico punto su cui concentrarsi. Sono infatti in gioco, e a rischio, due fattori fondamentali per l’età: l’esperienza e la conoscenza. Il rischio per questi giovani è limitare l’esperienza alla sua variante smaterializzata: giocare diventa schiacciare dei pulsanti, disegnare diventa passare un dito sul tablet, essere amici diventa scambiarsi messaggi in chat. È in atto una riduzione dell’esperienza, il corpo quell’unicum di sensibilità, motricità e pensiero - non viene più vissuto nella sua interezza, ma solo parzialmente, limitando appunto la possibilità di esperienza.  Anche la conoscenza rischia di essere compromessa. La sua fonte non può essere unicamente legata alle immagini riprodotte sugli schermi, si cresce e si impara con il corpo tutto, non solo con gli occhi e le orecchie. Non è vero che esiste solo quello che posso vedere o sentire in uno schermo e nemmeno solo quello che trovo su internet. Conoscenza ed esperienza sono strettamente legate e hanno bisogno del reale come terreno su cui fondarsi e come banco di prova. Allora la questione è in mano agli adulti, innanzitutto ai genitori.  Dobbiamo essere consapevoli degli strumenti che mettiamo a disposizione dei nostri figli, senza essere a nostra volta colpevolmente ingenui. Ogni genitore valuti cosa offrire al proprio figlio, e quando, senza anacronismi da un lato o pressioni sociali dall’altro. Limiti e controlli, seppur necessari, non possono però essere l’unica via: se non allarghiamo l’orizzonte ci perdiamo anche noi qualcosa. È urgente, a questo punto, favorire da parte dei più giovani una presa sul reale. Potremmo definirla l’emergenza-reale. Le gambe devono riprendere a correre, le mani ad afferrare, le braccia a stringere, le labbra a cantare e i piedi a battere la buona terra. Uno slogan che da tempo propongo ai genitori è: la sfida con il virtuale si vince nel reale. Coincide con la certezza della forza del reale, della sua potenza. Così, un ragazzo interessato alla propria soddisfazione e messo nella condizione di produrla con la compagnia di altri, dentro le circostanze concrete che gli sono offerte, saprà fare buon uso della rete. Soprattutto non ci resterà impigliato dentro: possiamo essere certi che avrà altro, di meglio, da fare. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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