martedì 31 maggio 2016
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La condanna dell’ex dittatore del Ciad, Hissène Habré – riconosciuto colpevole di crimini contro l’umanità e condannato all’ergastolo – rappresenta un segnale di speranza per il continente africano. Nella fattispecie, la sentenza è stata emessa da un tribunale costituito a Dakar, in Senegal, sotto l’egida dell’Unione Africana (Ua). E questo significa che anche il lungo antagonismo tra la Corte penale internazionale dell’Aja (Cpi) e i Governi africani, sembra aver trovato un punto di svolta. Con la condanna di Habré, infatti, per la prima volta nella storia, è stata fatta giustizia nei confronti di un dittatore sanguinario, e ciò è avvenuto nell’ambito di un’istituzione sovrannazionale, in questo caso panafricana. A riprova che sta emergendo un graduale interesse degli Stati sovrani a una composizione per via giudiziaria, anche internazionale, di serie problematiche interne.

Se la Cpi, invece, non è finora riuscita a ottenere lo stesso appoggio dai governi africani è perché la giurisdizione universale è stata percepita come un’illegittima interferenza negli affari interni degli Stati stessi. È quanto è avvenuto in casi anche clamorosi, come quello che riguarda il presidente sudanese Omar Hassan el Bashir. Su di lui pende l’accusa di essere il mandante dei massacri nella tormenta regione del Darfur. Nel 2009 fu spiccato nei suoi confronti un mandato per crimini di guerra e contro l’umanità. Attualmente, non solo è ancora a piede libero, ma viaggia all’estero impunemente sfidando la giustizia internazionale. Tuttavia, tornando al caso di Habré, se si guarda attentamente al conferimento da parte della Unione Africana di una sorta di mandato al Senegal per perseguire i crimini commessi in Ciad (ragione per cui il Senegal ha proceduto ad una modifica della propria legislazione interna, includendovi i crimini internazionali) è inevitabile concludere che qualcosa di davvero di significativo sta avvenendo a livello continentale. Lungi da ogni retorica, il ruolo della Ua è stato proprio quello di canalizzare nella giusta direzione la repressione dei crimini internazionali ed essere così il motore di una maggiore azione degli Stati in tal senso. Guardando al futuro si potrebbe promuovere l’adozione di un trattato regionale che definisca i crimini internazionali, stabilendo un obbligo per gli Stati di incorporare e perseguire tali crimini.

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