martedì 26 gennaio 2016
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In una certa retorica del richiamo ai "valori", cui spesso fa appello chi vuole evocare un propellente per spingere il Paese fuori dalla stagnazione restituendogli sviluppo e dinamismo, manca quasi sempre l’esplicitazione di cosa si intenda con esattezza. Perché se è indiscutibile che per uscire da un certo diffuso clima di disillusione e di attesa è necessario potersi muovere su un terreno comune, si dà per acquisito che l’evocazione dei "valori" chiami in causa punti fermi uguali per tutti. Ma non è più così.Mai come in queste settimane stiamo constatando che a uno stesso "contenitore" si assegnano contenuti anche molto differenti: si pensi ai "diritti", largamente reclamati come la soluzione alle più diverse istanze, ma letti in chiavi anche antitetiche, fino a sfibrarli in elencazioni rivendicative e non davvero costruttive. Persino una realtà centrale per la vita degli italiani qual è la famiglia viene ormai intesa e declinata nel discorso pubblico secondo un catalogo di accezioni esteso a più forme di convivenza, come se cambiare significato a una parola fosse irrilevante per il suo profilo. Seguendo questa strada, si va dritti verso una babele di malintesi e di conseguenti divisioni, che paradossalmente germogliano sul tronco di ciò che dovrebbe unire il Paese attorno a una visione e una convinzione. Ma se non c’è la condivisione di un elementare codice collettivo, a quali "valori" ci si potrà credibilmente afferrare?Di fronte al proliferare di interpretazioni e attese coltivate dalle più diverse componenti sociali, occorre l’umiltà di accostarsi al vasto e radicato «sentire della gente» – così l’ha definito ieri il cardinale Bagnasco –, a quella coscienza comune ancora percepibile e registrata come una vibrazione diffusa, al di là delle semplificazioni mediatiche, quando sono in gioco parti vitali della convivenza e del futuro di tutti. A contatto ovunque con la vita quotidiana, le inquietudini e le speranze degli italiani, la Chiesa italiana ricorda con le parole del presidente della Cei quello che le sta a cuore, sapendo che è semplicemente la dotazione essenziale per assicurare un domani al Paese: il rispetto per la dignità di ogni persona – giovane, lavoratore, migrante, perseguitato... –, l’ascolto di chi continua a restare attardato o pare irrimediabilmente tagliato fuori, la famiglia come «il fondamento e il centro del tessuto sociale, il punto di riferimento, il luogo dove ricevere e dare calore, uscire da sé per incontrare l’altro nella bellezza della complementarietà e della responsabilità di nuove vite da generare, amare e crescere», e questo non per una inspiegabile ostinazione confessionale ma perché così «prevede la nostra Costituzione».Che proprio parlando di famiglia il presidente dei vescovi richiami la Carta fondamentale non deve stupire, e non stupirà certo i lettori di questo giornale che da tempo ci seguono nel ragionare in questa civile chiave: è oggi in questione, infatti, la convinzione non più indiscussa che sulla «famiglia fondata sul matrimonio» lo Stato – «ogni Stato» – «assume doveri e oneri», perché «riconosce in lei non solo il proprio futuro ma anche la propria stabilità e prosperità». Bagnasco parla ai vescovi del Consiglio permanente della Cei e sceglie di non entrare nel merito della legge in discussione da giovedì al Senato sulla regolazione delle unioni tra persone dello stesso sesso, né delle varie manifestazioni di piazza già svolte o in programma, e pesa le parole per ricordare a tutti e in modo accorato che con la famiglia non si gioca, perché «i Padri costituenti ci hanno consegnato un tesoro preciso, che tutti dobbiamo apprezzare e custodire come il patrimonio più caro e prezioso». La famiglia è «uno scrigno, di relazioni, di generazioni e di generi, di umanesimo e di grazia», e il «vero bene» dei figli – che «non sono mai un diritto» – deve indiscutibilmente «prevalere su ogni altro».Rimesso in chiaro questo quadro di riferimenti essenziali, ognuno poi, comunque creda e la pensi, deve assumersi le proprie responsabilità davanti alla coscienza e alla collettività. Per quanto riguarda i cattolici, ricorda il presidente della Cei, la scelta seria e importante di schierarsi pro o contro il ddl sulle unioni civili e il giudizio sui suoi diversi e specifici contenuti, così come quella di scendere o meno in piazza per far sentire democraticamente la propria voce, appartiene alla libera determinazione dei laici, «alla luce della sapienza cristiana e facendo attenzione rispettosa alla dottrina del Magistero». La Chiesa italiana uscita dal Convegno di Firenze ha ancora più chiaro che oggi suo compito è «mantenere vivo il dialogo e il confronto con le diverse culture presenti sul nostro territorio», per spezzare il pane di «un umanesimo più completo» e «di un’antropologia che, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, sia al tempo stesso più adatta alla sensibilità e alle circostanze odierne». Proprio per questo ricorda a tutti che con la famiglia, cuore del "Paese reale", il "Paese legale" a lungo complice del declino demografico, morale ed economico ha un debito aperto. È tempo di saldarlo.
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