giovedì 22 settembre 2016
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A cosa serve il dialogo tra le religioni? Questa domanda è risuonata da varie parti mentre si preparava il trentesimo anniversario dello Spirito di Assisi nella città di San Francesco. Nel 1986, nello stesso luogo, molti non capirono il valore storico e profetico del gesto voluto dal papa santo, Giovanni Paolo II. Allora, tra le critiche anche aspre a un gesto visto come sincretico, si sentì risuonare la domanda: a che serve? Si diceva: questa è la realtà, la guerra fredda e l’Europa divisa dalla cortina di ferro. Ma Il Papa guardava lontano. Convocò una riunione inedita di responsabili delle religioni mondiali. Era convinto che le religioni dovessero fare di più per la pace, non accettando la realtà della guerra e della divisione tra i popoli. Quell’incontro diede vita a tante novità: non più la sfida o la contrapposizione tra le religioni, ma il dialogo e l’incontro per favorire la pace nel mondo. I risultati di questa nuova visione sono sotto gli occhi di tutti. Tanto è cambiato da allora. Basta guardare ai popoli europei che allora mancavano di libertà e di democrazia: il 1989 ha cambiato la storia. Basta interrogare alcuni popoli africani, come quelli del Sudafrica, del Mozambico, della Guinea, della Costa d’Avorio, del Centrafrica. Tutti hanno beneficiato, in un modo o nell’altro, di un nuovo modo di incontrarsi dei credenti e del loro lavoro per la pace. Ne abbiamo beneficiato in Europa, negli snodi vitali delle nostre città, dalle scuole alle periferie. La convivenza con persone di culture e religioni diverse, portata dalla globalizzazione, è una realtà diffusa nonostante le criticità. Non va poi dimenticato – come ha sottolineato il rabbino Rosen – il cammino di amicizia percorso tra cristiani ed ebrei, dopo secoli in cui l’antisemitismo aveva prodotto frutti amari e avvelenati. Aveva ragione papa Wojtyla: l’orizzonte della pace è molto più vasto di quello degli stretti conti dei realisti. E poi “lo spirito di Assisi” non è soltanto dialogo tra le religioni, ma preghiera per la pace. Come si fa a calcolare a che cosa serve la preghiera? Si può però certamente dire, come ha fatto Andrea Riccardi ad Assisi, che un mondo senza preghiera, senza dialogo sarebbe invivibile e disumano. Certo oggi ci sono ancora forze distruttrici. Per primo, il terrorismo jihadista, che distorce gli insegnamenti di una delle religioni più diffuse e semina il male: martirio dei cristiani, massacri di yazidi, stragi di musulmani in Medio Oriente, terrore e morte in Africa e nelle città occidentali. Un progetto del male che mette in causa l’esistenza stessa del dialogo tra le religioni. Eppure ad Assisi, il patriarca ecumenico Bartolomeo ha ricordato l’antica lezione di un santo patriarca che fece la pace con la Chiesa cattolica, Athenagoras. Questi amava dire che il vero incontro si fa guardandosi negli occhi con l’altro e approfondendo la propria tradizione. Il dialogo è qualcosa di profondo. È comprensione dell’altro, riscoperta della propria fede, volontà di andare avanti insieme, nonostante le differenze, superando l’appiattimento di una fraternità a basso prezzo. Non si spiegherebbero altrimenti le parole toccanti del vescovo di Rouen a Assisi, che ricordando il “suo” prete, Jacques Hamel, ucciso alla fine della Messa lo scorso agosto, ha affermato: «Mentre chiedo la grazia di un dialogo vero con i nostri amici musulmani, allo stesso tempo non vorrei che la memoria del martirio di padre Jacques sia usata come una bandiera alzata per combattere e condannare». Non sono queste parole un frutto dello “spirito di Assisi”? L’incontro con l’altro sta divenendo una cultura maggioritaria, sfidato dalla violenza terrorista e da quel «paganesimo dell’indifferenza», di cui ha parlato papa Francesco.La globalizzazione ci ha spinto a incontraci e conoscerci, ma è un percorso che va preparato con intelligenza e amore. È una delle sfide più grandi davanti a noi: vivere in pace nella città globalizzata. Per questo lo “spirito di Assisi” è più necessario di quello che si crede. La sete di pace dell’umanità ha trovato un’importante risposta nelle parole di Francesco che ha chiamato tutti «i credenti a essere artigiani di pace nell’invocazione a Dio e nell’azione per l’uomo». È un movimento di uomini e donne di religioni diverse, insieme agli umanisti, che mosso da uno spirito buono si incammina nelle strade del mondo per dissetare chi ha sete di pace.
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