giovedì 30 giugno 2016
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Il segreto è il cuore. E più guardi gli azzurri di Conte più te ne rendi conto. È vero, non siamo un popolo d’attacco, per fortuna non ci è mai davvero piaciuto invadere le terre altrui e, quando ci abbiamo provato, è stato un disastro. È vero anche che nelle difficoltà ci esaltiamo. Guai a chi ci dice: non ci riuscirete mai. Perché quello è il momento che riusciamo a fare qualsiasi cosa. Tuttavia questa può essere una condizione sufficiente, ma non necessaria. Infatti, nei secoli abbiamo dimostrato al mondo di saper lavorare in silenzio, giorno dopo giorno, con sacrificio e generosità, con metodo e ingegno, perfino con disciplina, fissando obiettivi ambiziosi e a lungo termine.

Più l’impresa è difficile, più ci viene bene: dalla scoperta dell’America all’invenzione della radio, dalla Divina Commedia alla conquista del K2, dall’Aida alla Cupola di San Pietro, dalla Ferrari a Cinecittà, dalla Gioconda all’alta moda, dal Prosciutto di Parma alla Vespa. Sono tutte opere che l’Italia, gli italiani, non hanno realizzato per caso né perché messi alle strette da qualche nemico. Non siamo soltanto furbetti del cartellino, falsi invalidi, ignoti al fisco, amministratori tangentari. Anzi, ci piace pensare che costoro siano ancora le eccezioni negative di un popolo che continua a sgobbare malgrado la crisi o che vorrebbe farlo e non può proprio a causa della crisi. Un popolo che, comunque, ha costruito una rete di piccole e medie imprese senza uguali. Un popolo che produce eccellenze in molti campi. E che ogni mattina alza la saracinesca di un negozio o timbra quel benedetto (per chi ce l’ha) cartellino. Il fatto è che se vogliamo, se lo decidiamo, siamo capaci come pochi altri di essere uniti e solidali: niente più bianchi, rossi o neri, terroni e polentoni, interisti e milanisti. Se cominciamo a correre siamo tutti Pietro Mennea. Se saltiamo tutti Sara Simeoni. E se pedaliamo tutti Fausto Coppi

Oggi, dunque, siamo la Nazionale di Antonio Conte, comunque vada a finire sabato con la Germania ed eventualmente (speriamo) nelle altre partite. È un’opera realizzata con pazienza, umiltà e intelligenza. Guardateli, i nostri calciatori: il laziale Parolo e il romanista  De Rossi sembravano fratelli, l’altra sera, in quel capolavoro di partita contro la Spagna; in panchina non si vede un muso lungo, tutti fanno il tifo per i compagni in campo; nelle interviste si ricordano di citare e salutare anche quelli che sono dovuti restare a casa per infortunio. Insomma, gli azzurri hanno già vinto, a prescindere dal risultato, perché in Francia stanno esibendo la migliore normalità di noi tutti.

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