giovedì 29 settembre 2016
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Ha uno stampo in superficie più 'padoano' che renziano il nuovo documento sui conti pubblici varato l’altroieri, nottetempo, dal Consiglio dei ministri. Poggiato su un’abile alchimia di numeri, accortezze diplomatiche (con la Ue), richiami alla realtà e calibrate ipocrisie. Dietro la copertina della 'Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza' c’è infatti un 'non detto' di fondo: Matteo Renzi ha già deciso – quale che sia l’esito della trattativa che si svilupperà con Bruxelles – di sforare il deficit 2017 fino al 2,4% del Prodotto interno lordo (Pil). 

Una cifra ben calibrata, quel 2,4: un punto esatto al di sopra dell’1,4% indicato dal governo un anno fa, poi già ritoccato all’1,8% nel Def di aprile scorso. Un punto di Pil vale 16 miliardi di euro, quindi poco più della somma necessaria (15,1 miliardi) per disinnescare la cambiale delle clausole di salvaguardia che avrebbero fatto salire di 2 punti l’Iva. Per non irritare la Commissione Europea e per non metterla di fronte al fatto compiuto, «San Prudenzio» (come scherzosamente Renzi ha definito Padoan) ha ottenuto che il Pil 2017 fosse indicato all’1% (in netto calo dal precedente 1,4%, ma comunque ben più alto della crescita attesa da diversi osservatori) e soprattutto che la cifra ufficialmente fissata per l’indebitamento netto (deficit) fosse, guarda caso, il 2%. L’anno venturo, quindi, l’Italia si indebiterà più di quanto previsto.

Ma quel 2% sta a indicare anche altre due cose: davanti a Bruxelles possiamo rivendicare che permane l’impegno a ridurre il deficit rispetto al 2,4% di quest’anno (in un quadro europeo in cui, Germania a parte, nessuno dei maggiori Paesi rispetta il 3% fissato a Maastricht) e in più si fa leva sull’effetto psicologico di una cifra tonda (ecco l’accortezza diplomatica).

Nel gioco delle parti che i due adottano – al di là delle voci su qualche presunta tensione –, sempre per venire incontro al ministro dell’Economia il capo del governo ha poi presentato lo 0,4% in più di disavanzo come un effetto collegato non a una nuova flessibilità-bis 'fuori Patto' (che difatti Padoan, conscio delle richieste Ue, aveva affermato pochi giorni fa che non ci sarebbe stata), ma all’escamotage delle 'circostanze eccezionali' contemplate sia da Maastricht sia dal Fiscal compact. In questo caso, il terremoto e il continuo flusso dei migranti.

Va da sé che la cifra (0,4 punti sono 6 miliardi e mezzo) appare a occhio nudo squilibrata in eccesso. Bruxelles è pronta a dare via libera per le spese legate all’emergenza sisma, più difficilmente darà l’ok ai costi per la ricostruzione (che peraltro non saranno sostenuti al 100% nel solo anno 2017). Renzi tuttavia – ed ecco lo stratagemma mascherato – quei 6 miliardi e mezzo intende prenderseli lo stesso. Contando sull’attuale debolezza della Commissione, che nulla ha eccepito sui conti 2016 fuori linea di Spagna e Portogallo e dove per paradosso persino il francese Moscovici, responsabile degli Affari monetari, potrebbe rivelarsi più 'falco' del presidente Juncker. 

Ultimo dato: l’onesto Padoan ha dovuto ammettere, smentendo tutte le sue precedenti affermazioni, che il debito pubblico/Pil, nodo cruciale della nostra debolezza, crescerà pure quest’anno (pur attribuendone la maggior responsabilità all’inflazione, oggi a zero, che viene 'gestita' dalla Bce). A questo punto la prossima manovra si è però affievolita nei contenuti, rimandati al 2018 i sogni del premier di 'mettere il turbo', resta incentrata su 5 perni: le riduzioni di tasse per le imprese, il super-ammortamento, il pacchetto pensioni (ridotto per ora a 1,5 miliardi), un primo stanziamento per il contratto degli statali (7-800 milioni) e qualche fondo aggiuntivo contro la povertà (troppo esigui rispetto alle necessità).

Non più di 7-8 miliardi in tutto da coprire, stante il no a nuove tasse, con altre misure di tipo fiscale (voluntary-bis, ecc.). Per uno di quei casuali ma perfidi giochi temporali, la Nota al Def arriva nel giorno del nuovo vertice europeo a tre (fra la cancelliera tedesca Merkel, il presidente francese Hollande e il presidente della Commissione, Juncker) che vede esclusa l’Italia.

Si prevedono ora ulteriori trattative con la Ue nelle 4 settimane da qui al varo della manovra, il 20 ottobre. Renzi le affronterà su un sentiero impervio, sospeso fra la certezza che troppa austerità a questo punto fa più male che bene a un’Europa che nel suo complesso cresce costantemente meno degli Stati Uniti (tesi ormai condivisa anche dal Fmi) e i numerosi bivi politici che attendono l’Italia del referendum costituzionale e l’Unione dei Ventisette.

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