mercoledì 15 aprile 2015
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C'è una dinamica normale e quasi assoluta, nella nostra vita oggi, che può cominciare perfino prima che si venga al mondo – quando si nasce, figli magari unici, da genitori che in quel solo figlio depongono troppe attese e aspettative. Questa dinamica è una sorta di idolatria di se stessi, delle proprie inclinazioni, di quella «autorealizzazione », che viene universalmente posta come massimo traguardo. Si è cominciato oltre quarant’anni fa, a educare i figli senza mettere limiti alla loro istintività, si è continuato nella rivendicazione di ogni desiderio come 'diritto', e nella declinazione della vita come puro appagamento dei propri obiettivi. Anche fra cristiani, spesso; si può essere battezzati, e continuare a guardare alla vita come un percorso narcisistico, da portare a compimento. Ieri, il Papa ha ricordato la vocazione cristiana è tutt’altro, da questo seguire devotamente il proprio progetto su di sé. È, ha detto, «anzitutto una chiamata d’amore che attrae e rimanda oltre sé stessi, decentra la persona, innesca – e qui ha usato una densa citazione di Benedetto XVI – ' un esodo permanente dall’io chiuso in sé stesso verso la sua liberazione nel dono di sé, e proprio così verso il ritrovamento di sé, anzi verso la scoperta di Dio'».  Francesco parlava nella Giornata delle vocazioni religiose, ma sappiamo che la vita di ogni cristiano è vocazione – risposta alla chiamata di un Altro. E dunque quell’ «esodo» riguarda ognuno di noi. «Esodo permanente dall’io chiuso in sé stesso, verso la sua liberazione »: viene in mente quanto pieno di ambizioni e pretese sia spesso il nostro sguardo, a vent’anni, e come poi si combatta duramente, tesi a ciò che l’io si è dato come meta. Dio, allora, può essere anche usato: aiutami, dammi ciò che voglio. Arrivati ai cinquanta, si vede che pochi sono i vincitori, in questa corsa; e anche in loro a volte trapela un’amarezza, come il dubbio che niente di ciò che si è avuto basti, a rendere felici. Quella felicità, dice il Papa, sta invece «nel dono di sé, e proprio così nel ritrovamento di sé». E non riguarda solo chi va prete o suora, ma noi, incantati nell’idolatria di noi stessi.  Noi, che chiediamo a Dio ciò che vogliamo, ma raramente ci chiediamo cosa vuole Dio, da noi. Forse non siamo al mondo per erigere un monumento a noi stessi, ma per donarci, e la pienezza che cerchiamo sta in questo. Sarebbe, quella frase di Benedetto ripetuta da Francesco, da portare ai nostri figli. Come una provocazione. Perché ogni mattina, come disse Benedetto in uno dei suoi ultimi Angelus, «siamo a un bivio: seguire Dio, o l’io».
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