venerdì 19 febbraio 2016
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«Chinatevi con delicatezza e rispetto sull’anima profonda della vostra gente, scendete con attenzione e decifrate il suo misterioso volto». È quello che papa Francesco ha raccomandato ai vescovi riuniti a Città del Messico, ma è frase dalla portata molto più ampia delle circostanze in cui è stata pronunciata. Nel variegato mosaico sociale, vale per chiunque abbia più prestigio, più potere, più possibilità di agire della maggior parte delle persone. Vale laddove c’è una differenza. Le differenze sempre comportano asimmetrie: la simmetria è proprietà astratta che pertiene agli oggetti costruiti dall’essere umano, come la geometria, ma non ha nulla a che vedere con la concretezza dell’esistere. Nemmeno le due metà del nostro volto sono simmetriche! Non parliamo poi delle relazioni: genitori e figli, insegnanti e studenti, fratelli maggiori e minori... Ma anche tra persone in linea di principio "alla pari" c’è sempre qualcuno più capace in qualcosa e meno in qualcos’altro. Un conto è la reciprocità (riconoscere il legame, che è vincolo di responsabilità), doverosa per evitare che la differenza si trasformi in dominio, strumentalizzazione, discriminazione. Un conto la simmetria, che – appunto – non esiste. È una finzione, un modello astratto derivato da ambiti altri. Il Papa dice quello che ha detto Gesù: chi è grande si faccia piccolo, chi è ha potere serva chi non ce l’ha, chi è in alto si chini su chi è in basso. Con dolcezza, per non umiliare. Per sollevare o semplicemente stare accanto. Per prendersi cura, dato che ciascuno di noi esiste perché qualcuno gli ha dato la vita e le cure necessarie a sopravvivere. Questa è la misericordia. Un gesto rivoluzionario perché controintuitivo. L’unica alternativa al dominio, esito sempre possibile, anzi "naturale" delle differenze di potere. Il pesce grande mangia il pesce piccolo. Non è colpa di nessuno se io sono nato grande e tu piccolo! A fronte di questo rischio estremamente reale, di questa tentazione che è sempre la più forte, la cultura contemporanea (individualista) propone una soluzione politically correct: quella dell’equivalenza. Se di fatto le differenze si sono tradotte in dominio e discriminazione, la soluzione proposta è fare "come se" le differenze non esistessero: stabilire un’equivalenza, una simmetria tra tutte le possibili posizioni. L’intento è buono, ma l’esito disastroso. Almeno per due ragioni. La prima è che l’equivalenza è in fondo discriminante del valore della differenza, dato che ne impone la cancellazione dall’esterno in nome di un principio astratto. L’equivalenza discrimina la concretezza (che significa una biografia, una storia, delle relazioni, una unicità irripetibile e tanto altro) e cancella ogni complessità, con un riduzionismo che rischia di essere a sua volta violento. La seconda è che, di fatto, le differenze non scompaiono ma, livellate da una vernice ideologica, ritornano molto più potentemente di prima sul piano delle prassi, che di fatto rischiano di introdurre nuove e più sottili forme di dominio. Per di più, avendo intanto neutralizzato gli argomenti per una possibile critica. Un solo esempio, legato all’attualità. Si può dire che è "equivalente" affittare un utero o portare in grembo il bambino che si è accolto come frutto di amore e si desidera veder crescere? La prima ipotesi non solo incentiva un mercato della disperazione che riduce la donna a strumento, la smembra nella sua integrità (facendone appunto "un utero") ma, col denaro, rompe il legame più sacro, quello di cui ciascuno di noi porta il segno sul proprio ventre. l denaro, mezzo dell’astrazione per eccellenza, decreta che il legame che si stabilisce tra la donna e il bambino nel suo grembo, fatto di un dialogo silenzioso ma tangibilissimo tra i corpi, di mescolanza di sostanze vitali, di sollecitudine e ascolto, fatica e trepidazione vale zero. Astrazione, tecnica, capitalismo in cerca di nuovi mercati, ci raccontano la favola della nostra emancipazione, che nasconde la verità di nuove sudditanze. La differenza è un dato che non può essere cancellato con un decreto. Questa via rischia solo di produrre nuove, ancor più disumane disuguaglianze. L’unica, reale (e relazionale) alternativa al dominio e alla discriminazione è accogliere, chinarsi, prendersi cura delle differenze più fragili. L’unica vera alternativa è la misericordia. 
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