giovedì 6 novembre 2014
Chi chatta non arrossisce più, la spia del cambiamento.
di Federico Tonioni
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Quando, nel novembre 2009, nacque, presso il Policlinico Gemelli di Roma, il primo ambulatorio italiano per la Dipendenza da Internet (Internet Addiction), io e i miei collaboratori ci preparammo a ricevere i pazienti senza nemmeno riuscire a immaginare chi e quanti sarebbero stati gli utenti.  Arrivammo a questo appuntamento senza una preparazione specifica, direi, anzi, con una sana insicurezza che, sapevamo, ci avrebbe consentito di lavorare con umiltà e consapevolezza dei nostri limiti, animati allo stesso modo da una grande curiosità.  L’ambulatorio si riempì di ragazzi, la maggior parte adolescenti, portati quasi di forza da genitori disperati e impotenti di fronte a comportamenti che sfuggivano alla loro comprensione. E dato che si trattava dei loro figli, avevano l’impressione di non riconoscerli più, o meglio, di non averli mai conosciuti abbastanza. In effetti, definire i giovani d’oggi 'nativi digitali' favorisce l’idea che essi siano nati in un mondo 'diverso', dove poi sono anche cresciuti. L’abbiamo definito mondo globale, un mondo dove lo spazio e il tempo sono vissuti in modo differente. I concetti di distanza e di vicinanza sono stati stravolti, tanto da far sembrare vicino ciò che è concretamente distante e al contrario distante ciò che è potenzialmente vicino. Il tempo, poi, è vissuto più intensamente e tende quasi a contrarsi, perché la comunicazione digitale, riducendo le attese, ha compromesso anche la capacità di attendere e quella di stare da soli, rendendoci tutti più compulsivi. Di fatto è diminuito il tempo concreto e lo spazio mentale per stare con i nostri figli, e questo è il primo passo per una distanza generazionale che oggi assomiglia a un vuoto, in cui a volte diventa difficile anche avere sani conflitti. E credo che i conflitti siano la forma più autentica di comunicazione tra gli adolescenti e i loro genitori. Il rapporto con i supporti digitali nasce da lontano e coinvolge i bambini fin dalla prima infanzia: dallo smart phone dei genitori passando per consolle e Nintendo, fino al gaming online e ai social network. Anche i cartoni animati in tv parlano ai bambini e i piccoli nativi digitali crescono tra una moltitudine di schermi portatili e interattivi, di fronte ai quali sembrano più assorti che concentrati. La dipendenza da Internet nasce da qui e subito appare come un nuovo modo di pensare e comunicare che, se da una parte rappresenta un’evoluzione, dall’altra comporta il rischio di sviluppare nuove patologie.  Gli adolescenti che abbiamo visitato in questi anni hanno in comune la difficoltà a guardarci negli occhi, e quando abbiamo cercato di inseguire il loro sguardo ci siamo sentiti dei 'persecutori'. Questa è la prima cosa che abbiamo imparato. La seconda è che due ragazzi che chattano reciprocamente visibili tramite una web-cam, anche se affrontano argomenti delicati, non arrossiscono mai. Il rossore è la manifestazione di un’emozione che non è comunicata con le parole, ma con il corpo, perché le emozioni passano per il corpo, come i sentimenti passano per la coscienza. Un rossore ci mette a nudo agli occhi degli altri e dice sempre la verità, nel senso che non c’è modo di nasconderlo. Non succede on line perché il linguaggio non verbale si manifesta solo quando si è a portata di contatto fisico e, inoltre, non possiamo prevedere quando accadrà perché non ne abbiamo il controllo, come capita per i sogni, le fantasie o le intuizioni. Allora ci siamo resi conto che qualsiasi schermo digitale protegge gli adolescenti da emozioni che non si possono permettere e dalle quali sono chiamati a difendersi. Credo che questo sia la base del ritiro sociale, che è senza dubbio il sintomo più grave dell’incapacità di sostenere le relazioni dal vivo, dove diventa inevitabile il contatto vis a vis. Ciò che ai nativi digitali è venuto a mancare è quell’intenso rispecchiamento emotivo che salda in modo crescente l’identità dei bambini e che si verifica tutte le volte che due persone si guardano negli occhi pensando la stessa cosa. Capita quando ci si innamora ed è il motivo per cui i bambini chiedono agli adulti di essere visti mentre fanno qualcosa di nuovo. Essere visti non significa essere semplicemente guardati, ma anche pensati. E i figli hanno bisogno di essere pensati e conosciuti prima, piuttosto che controllati dopo. Quando ascolto una mamma che dice: «Mio figlio davanti al computer non si vede e non si sente», credo che quella mamma debba essere aiutata a pensare suo figlio.   Nella dipendenza da Internet il ritiro sociale è correlato alla mancanza di quella quota di sana aggressività necessaria per vivere e che ci permette di conquistare e mantenere uno spazio nel mondo. Il cyberbullismo è l’altra faccia della medaglia e sottolinea in modo diverso la stessa tendenza a soccombere alle relazioni, questa volta a causa della vergogna, esperienza di fronte alla quale non c’è rimedio e che in adolescenza rappresenta un crollo più o meno grave dell’identità. Sul Web un confronto tra adolescenti, in cui è normale un po’ di aggressività, diventa più facilmente persecuzione, perché la vergogna è legata alla visibilità. Chiunque nella vita abbia fatto una brutta figura si è preoccupato di contare quanti lo abbiano visto mentre la faceva, e in questo senso il Web è un luogo senza scampo, perché, essendo un Grande fratello, offre una visibilità senza confini e, con essa, anche una memoria illimitata di ciò che è stato visto.  Questa mancanza di vie di fuga fa dell’aggressività un’esperienza persecutoria, esacerbata dal fatto che gli istinti on line sono aumentati di intensità proprio perché i corpi sono fisicamente lontani. La comunicazione per immagini, il ruolo della visibilità e l’incapacità di sostenere le emozioni dal vivo sono indicazioni di una nuovo disagio evidente negli adolescenti dei nostri tempi.  Come adulti e genitori, dobbiamo comunque provare a fidarci di loro, pensando piuttosto al motivo per cui non ci sono mancati, quando non abbiamo trovato il tempo per stare di più insieme. Anche per noi può essere difficile guardarsi negli occhi.
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